Giovane niscemese partorisce sulla Gela-Catania grazie all’aiuto del padre. Chantal Blanco, questo il nome della ventiduenne, era ormai arrivata alla fine della gestazione quando ha sentito arrivare il fatidico momento. Una storia apparentemente a lieto fine ma che cela retroscena drammatici. Per comprendere la disavventura della giovane neomamma bisogna partire da un’unica certezza: il punto nascite dell’ospedale di Niscemi è stato chiuso nel 2012 per effetto della riorganizzazione della sanità regionale, che prevedeva la soppressione dei reparti di ostetricia e delle sale parto nei centri minori, quelli in cui avvengono mediamente meno nascite.
A Chantal, già mamma, non è rimasto altro da fare che salire a bordo dell’Audi A3 del padre in compagnia del compagno e tentare la corsa verso l’ospedale Vittorio Emanuele di Gela.
La situazione però si complica immediatamente: la strada provinciale 10, la via più breve per raggiungere la città del petrolchimico, risulta ancora chiusa a causa di lavori di manutenzione che si protraggono da oltre un anno. Salvatore Blanco, padre della giovane, ha dovuto quindi percorrere un percorso più lungo attraverso una strada secondaria. Con Chantal in procinto di partorire. «La nostra è stata un’odissea evitabile – racconta -. Mia figlia era stata visitata il giorno prima da una ginecologa di Gela ma, a causa della cronica carenza di posti letto, non è stata ricoverata nonostante una dilatazione della cervice di oltre 3 centimetri e pur coscienti della mancanza del punto nascite a Niscemi».
Com’era prevedibile le condizioni durante il percorso sono precipitate. All’uomo, che di mestiere fa il fabbro, non è rimasto che accostare lungo la strada e improvvisare all’interno dell’automobile una sala parto, aiutando la figlia a partorire. «Sono stati momenti difficili – spiega – anche perché non avevo mai assistito a un parto e quando mi taglio rischio di svenire: non so davvero dove ho trovato la forza». Il parto però è riuscito senza conseguenze e Chantal è riuscita ad arrivare al pronto soccorso dell’ospedale gelese con in braccio la piccola Pia Matilde. «Nonostante il caldo infernale ho dovuto viaggiare con i finestrini chiusi, a velocità elevata cercando di segnalare con il clacson l’emergenza agli altri automobilisti – continua l’uomo -. Sono pure passato col rosso, scommetto che mi arriverà una multa».
Il nonno racconta l’aneddoto con un sorriso, tentando di sdrammatizzare, ma è cosciente che la storia da raccontare poteva essere tutt’altra. «Sinceramente non mi sono mai interessato delle sorti dell’ospedale niscemese, devo ammettere che se vedevo qualcuno protestare mi scappava pure un sorrisino». Il riferimento è alle manifestazioni che in questi anni hanno tentato di scongiurare la chiusura definitiva dell’intero nosocomio niscemese. «In passato – prosegue – mia moglie è incappata in un caso di malasanità: quando è nato uno dei miei figli qualcuno ha dimenticato un pezzo di garza all’interno del basso ventre e lei è stata operata otto anni dopo per la formazione di una grossa massa tumorale di circa due chili a causa della svista. Ma oggi mi rendo conto che alcuni servizi fondamentali come il punto nascite devono essere garantiti. Niscemi è stata trattata come un bacino di voti senza pensare alla reale funzionalità dei servizi».
Intanto, Chantal e la piccola Pia Matilde stanno bene, al loro arrivo all’ospedale sono state visitate e ricoverate per controlli. Un lieto fine insomma, che meritava di essere raccontato perché lastricato di disservizi e da una visione della sanità a volte non corrispondente ai bisogni di territori difficili come Niscemi.
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