Nel segno di Demetra

Dal 27 aprile al 6 maggio le opere di Turi Aquino e Luigi Gismondo hanno fatto propria un’area del monastero dei Benedettini; la luce proveniente dai finestroni ad arco le ha accolte nell’atmosfera dell’edificio e al contempo si è proclamata coprotagonista dell’esposizione. I materiali utilizzati dai due artisti non possono prescindere dal fattore luce: il vetro e la pietra, con le sue superfici a tratti lucide, giocano diversamente coi raggi del mattino e i deboli bagliori della sera.

Le tele di Aquino imprigionano carta, reti, fili obbligandoli a divenire oggetti della propria rappresentazione. L’artista sembra mirare a dare un ordine al caos delle cose e, nel tentativo di bloccare quel mutare caotico, getta la sua lastra vitrea su quella materia, si affretta ad intrappolarla prima che gli sfugga. Egli sente l’esigenza di fermare la realtà, di imprigionarne il proseguire su di una superficie, per poi poterla contemplare. Una linea d’orizzonte ora retta, ora curvilinea, ora chiodata, divide un cielo celeste, rosso o nero dal mondo terrestre. Ma la separazione non è mai totale, una linea unisce l’elemento celeste (spesso rappresentato da un cerchio dorato) col mondo sottostante che in un caso assume le sembianze di una sorta di feto, di uovo primordiale da cui tutto avrà vita, ma solo per un volere superiore; difatti raramente la linea che unisce cielo e terra procede dal basso all’alto; piuttosto pare colare dal lassù, quasi per grazia divina. Solo in pochi casi l’artista sembra volere ricercare un ordine estetico puramente e anche qui la sua tecnica non cambia.

Se Aquino rapisce la materia al divenire delle cose, Gismondo la utilizza per plasmare la sua terra, si reinventa demiurgo per poter creare la sua realtà naturale a cui affidare i suoi reperti, i suoi fossili, le sue incisioni. Nelle sue pale d’altare ritroviamo la divisione cielo-terra presente in Aquino; nel cielo di Gismondo si apre però una porta che si ricollega alla terra attraverso una scia lasciata dalla stessa porta celeste, quasi questa fosse ascesa al cielo da una sua precedente vita terrestre. Sotto restano le radici, restano gli uomini che non sono riusciti a raggiungere quell’altezza a cui anelavano. Le stele presentano tagli che fendono la roccia cosicché l’esito finale appare come una compenetrazione tra le parti della materia ferita da tali squarci. Gismondo pare agire con grande consapevolezza nella sua ricerca delle cose; incide, intaglia la materia con la pazienza del cesellatore. Non ha paura che la materia possa fuggir via all’improvviso, è lui a dominarla sin dall’inizio.

Elena Cantarella

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