Naufragio, superstiti costretti a tenere chiusa la botola «Erano disperati, cercavano di uscire dalla stiva allagata»

Durante la notte gli investigatori della Mobile di Palermo hanno sentito decine di migranti che hanno rivelato nuovi particolari agghiaccianti sul naufragio avvenuto a 15 miglia al largo delle coste della Libia. Sarebbero stati in 200 circa, i migranti chiusi nella stiva. Si tratta di uomini e donne i cui corpi non sono stati ancora recuperati. Avevano pagato la metà del prezzo previsto per la traversata e dunque per gli scafisti potevano sopportare di stare chiusi e compressi nella stiva anche per 72 ore.

Dopo circa tre ore di viaggio, a causa di un guasto è cominciata ad entrare acqua nella stiva. I migranti, su ordine degli scafisti, hanno cercato, disperatamente, di buttarla fuori. Ma non ci riuscivano. E hanno così cercato di salvarsi tentando di uscire dal buco in cui erano rinchiusi. Hanno lottato con forza per liberarsi e uscire allo scoperto, ma gli scafisti li colpivano con coltelli e bastoni, per ricacciarli nella stiva. Poi hanno sigillato la botola e per farlo hanno usato il peso dei migranti che erano fuori, costretti a stare lì sopra mentre i loro compagni urlavano.

Alcuni testimoni hanno riferito che gli scafisti hanno marchiato, con i coltelli, la testa di coloro che non obbedivano agli ordini, specie quelli di etnia africana; invece quelli di etnia araba sarebbero stati picchiati con cinture. Gli uomini sposati colpiti con calci e pugni. Hanno evidenziato inoltre che gli scafisti hanno usato trattamenti diversi a seconda dell’etnia di provenienza. Dopo aver dato l’allarme, secondo i racconti, si sono avvicinate le navi per i soccorsi: alla loro vista, le persone che si trovavano nella parte superiore sono riuscite a gettarsi in mare, mentre quelle rinchiuse nella stiva sono rimaste imprigionatie all’interno, non potendo cosi mettersi in salvo.

La Polizia di Stato ha tratto in arresto cinque cittadini stranieri, algerini e libici, sbarcati, ieri pomeriggio, nel porto di Palermo, dalla nave militare irlandese ‘Le Niamh’, insieme ad altri 362 migranti. A bordo della nave anche ventisei salme, tra cui quelle di tre bambine di cui una dalla apparente età di circa nove mesi.


Si tratta di Ali Rouibah , algerino, del 1991, Suud Mujassabi, nato in Libia, nel 1994, Abdullah Assnusi, nato in Libia nel 1991,  Imad Busadia, nato in Algeria nel 1992 e Shauki Esshaush, nato in Tunisia nel 1994. Sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di omicidio plurimo aggravato.

I cinque, responsabili, in concorso con altri soggetti rimasti ignoti, di appartenere ad un’organizzazione criminale operante in Libia, dedita a favorire l’illegale ingresso di stranieri nel territorio italiano, avrebbero guidato di un’imbarcazione in viaggio tra la Libia e l’Italia, con a bordo circa 650 cittadini extracomunitari, conducendo il natante nelle acque del Mar Mediterraneo. Secondo alcune testimonianze raccolte, i criminali avrebbero rivestito ciascuno un ruolo ben preciso: uno di questi comandava, con l’ausilio di altri due il natante; gli altri si occupavano di controllare i migranti, impedendo loro di muoversi, utilizzando per questo anche forme di violenza.

Ancora, secondo quanto riferito, i viaggi costerebbero ai migranti da un minimo di 1200,00 dollari ad un massimo di 1800,00 dollari a persona: il prezzo del viaggio, poi, aumenterebbe in considerazione delle condizioni di sicurezza garantite per la traversata: ad esempio, quelle più vicine alla postazione di comando avrebbero un costo superiore; addirittura, per potere avere la disponibilità di un giubbotto di salvataggio si pagherebbe una cifra a parte (dai 35 ai 70 dinari libici).

Redazione

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