È stato incardinato oggi e rinviato al prossimo 22 marzo il processo, con rito abbreviato, per il naufragio di un peschereccio a largo delle coste libiche costato la vita a circa 750 migranti. Alla tragedia, avvenuta il 18 aprile 2015, sono sopravvissute solo 28 persone. Due gli imputati: il presunto capitano Mohammed Ali Malek, tunisino di 27 anni, e l’aiutante Mahmud Bikhit, 25enne siriano. Entrambi sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. A Malek è contestato anche l’omicidio colposo plurimo e il naufragio.
Secondo la tesi della procura di Catania a determinare l’affondamento del peschereccio sarebbero state «una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell’imbarcazione» e le errate manovre compiute dal presunto comandate Malek. Elementi «che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob», imbarcazione portoghese intervenuta per soccorre i passeggeri in difficoltà. L’avvocato difensore di Mohammed Ali Malek, Massimo Ferrante, ha chiesto alla giudice Daniela Monaco Crea di acquisire la scatola nera del mercantile.
Il relitto del peschereccio è stato individuato a 77 miglia dalla Libia, tra le isole di Lampedusa e Malta, a una profondità di oltre 300 metri. Al suo interno rimane un numero imprecisato di cadaveri; sono solo 92 i corpi recuperati dalla marina militare. A lungo l’imbarcazione è stata monitorata da alcuni sofisticati mezzi sottomarini. Le immagini e i video mostrano danni alla prua e sulla parte anteriore sinistra della fiancata, derivanti probabilmente dall’urto con l’altro natante.
Dalle testimonianze dei migranti sopravvissuti il prezzo per la traversata avrebbe avuto un costo tra 500 e mille dinari. Un lungo e pericoloso viaggio iniziato dal deserto, con una lunga sosta all’interno di una fattoria nei pressi di Tripoli. Qui uomini, donne e bambini sarebbero stati rinchiusi per settimane o per diversi mesi, sorvegliati a vista da uomini armati.
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