«Ho appena realizzato che domani lavorerò fino alle 24, in un centro commerciale, il sabato prima di Natale. Maya siete ancora in tempo». È il grido di dolore pubblicato qualche giorno fa su Facebook da una delle tante commesse che ieri sera ha dovuto lavorare durante la notte bianca prevista nella galleria Auchan di Misterbianco, in provincia di Catania. Un problema, quello degli orari prolungati, che si aggiunge alle aperture domenicali, al centro da qualche tempo delle battaglie di sindacati e commesse.
Da qualche settimana, la Cei Conferenza episcopale italiana e la Confesercenti hanno avviato in tutta Italia una raccolta firme contro le liberalizzazioni delle giornate e degli orari di apertura dei negozi. In prima linea c’è anche la Filcams Cgil che, con la campagna nazionale La festa non si vende, cerca da due anni di sensibilizzare lavoratori e clienti sulla necessità di rispettare il riposo domenicale per i dipendenti dei negozi. «Non siamo tutti coesi su questa battaglia, purtroppo, ma va fatta – dice Salvo Leonardi, segretario provinciale Filcams Cgil – Non è possibile che in un centro commerciale ci siano lavoratori di serie a e lavoratori di serie b. Capita, infatti – spiega – che all’interno dello stesso negozio ci siano lavoratori anziani che non hanno turni di domenica, lasciati sempre invece ai più giovani. E tra le domeniche e i festivi questi dipendenti lavorano sempre». Ci sono differenze anche tra un negozio e l’altro, soprattutto sul riconoscimento economico del lavoro straordinario e durante i festivi. «Negli Auchan e le grandi catene come Bershka o Zara, lo straordinario viene riconosciuto e pagato come previsto dal contratto, ma in altri negozi, specie i più piccoli dove si hanno tre o quattro commessi, per cui non vale neanche la legge numero 300, si attua un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori», denuncia Leonardi.
Nelle gallerie, secondo il sindacalista, «c’è lo sciacallaggio: lavoro nero, lavoro grigio e il contratto nazionale è dimenticato, non sanno neanche cos’è», dice. E lo confermano, anche se in forma anonima, i lavoratori. «Oggi rimaniamo aperti al pubblico fino a mezzanotte – dice una commessa – ma domani si riapre comunque alle nove». Chi lavora nei negozi, infatti, dovrà rimanere oltre la mezzanotte per completare le procedure di chiusura e, per i negozi più piccoli, la stessa commessa che abbasserà la saracinesca sarà quella che dovrà rialzarla il mattino dopo. «L’Auchan – sottolinea la lavoratrice – ha tanti cassieri che permettono una giusta rotazione, ma in un negozio con pochi commessi la stessa persona si trova a chiudere e ad aprire il negozio e lo straordinario non ci viene neanche pagato».
Non va molto meglio ai colleghi degli altri centri commerciali etnei. Etnapolis, per esempio, ieri e oggi resta aperto ai clienti fino alle 22.30 e il giorno della vigilia fino alle 21. Ma il problema non si presenta solo a Catania. Su Facebook è infatti nato a ottobre il Gruppo Domenica no grazie Sicilia, sulla scia dell’iniziativa partita in Veneto e ormai presente in 14 regioni, per dire no alle aperture domenicali dei negozi. Il gruppo siciliano conta 2126 membri e la maggior parte lavora nella provincia di Palermo e Ragusa. Nonostante Catania sia la provincia con più centri commerciali, gli iscritti etnei sono in pochi. «Perché molti hanno paura – afferma Leonardi – L’anno scorso, durante la nostra iniziativa fatta a Etnapolis, molti lavoratori giovani si sono avvicinati per chiedere informazioni, altri non lo facevano – ci hanno detto – per paura che il datore di lavoro li vedesse».
Eppure per qualcuno le conseguenze delle aperture domenicali e festive non sono positive neanche per gli imprenditori. «Lapertura no-stop dei negozi non incrementa loccupazione ma solo la precarietà – dice Giorgio Iabichella, portavoce del gruppo e segretario Confsal, Confederazione sindacati autonomi dei lavoratori – I dati dimostrano che le vendite della domenica non aumentano il fatturato ma sostituiscono gli incassi delle altre giornate infrasettimanali e, inoltre – aggiunge – tenere aperto la domenica significa maggiori costi fissi con conseguenti aumenti dei prezzi per la clientela».
Più morbida, invece, la presa di posizione di Antonio Santangelo, segretario provinciale e regionale della Confsal. «Il centro commerciale – dice – è concepito per essere un luogo di svago per la famiglia e quindi si chiede ai commessi di lavorare la domenica, è difficile opporsi completamente a questo concetto, anche se noi pensiamo che anche i lavoratori dovrebbero avere l’opportunità di stare con le loro famiglie e amici». E sulla questione che riguarda i posti di lavoro sottolinea: «Grazie all’apertura domenicale, ci sono migliaia di persone che hanno un lavoro e in un momento come questo diventa difficile dire “chiudiamo la domenica e mandiamo a casa la gente”». Il problema principale per lui è che «gli imprenditori fanno quello che vogliono perché la legge regionale dà loro molta libertà e laddove – spiega – non c’è una significativa presenza sindacale non c’è la possibilità di contrattare e di rifiutarsi e spesso non c’è il giusto corrispettivo economico».
Intanto, per dare voce alle commesse, su Internet circola da qualche giorno una canzone scritta dal cantautore di origini pugliesi Beppe Calvi, in arte Zucca Veleno. Diventato l’inno del movimento Domenica no grazie, il brano intende dare forza alle commesse e sensibilizzare i cittadini a non andare ad acquistare nei giorni di festa. «È la mia vita e costa cara» canta Calvi, interpretando, dice Iabichella, «quello che le commesse vorrebbero far capire a chi dice loro di accontentarsi del giorno di riposo infrasettimanale: che il riposo goduto nel giorno festivo, quando i propri familiari sono a casa, non ha prezzo».
[Foto di moneboh]
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