Napolitano, troppa Europa e poco Sud

Forse l’unico scatto che si è concesso è stato quando, senza giri di parole, ha parlato della speculazione finanziaria che oggi colpisce l’Italia: “L’obiettivo è l’Europa ed europea deve essere la risposta”. Questa è stato, forse, l’unico passaggio ‘passionale’, sentito, di un discorso per certi versi un po’ troppo scontato. Sì, ieri sera dal Presidente della Repubblica, che si è cimentato nel tradizionale discorso di fine anno, ci aspettavamo di più. Invece, per tanti, troppi argomenti abbiamo sentito le stesse parole, gli stessi discorsi, le stesse raccomandazioni, gli stessi riproponimenti, le stesse promesse, le stesse precisazioni, in una parola, le solite cose che gli sentiamo dire da tempo. Peccato.
E’ stata, alla fine, un’occasione sciupata. L’inizio, tanto per cambiare, è stato sugli ormai immancabili 150 anni dell’Unità d’Italia. Solita retorica patriottistica. Con un accenno al “risveglio” che il capo dello Stato vede nel nostro Paese. Sinceramente, non abbiamo capito a quale ‘“risveglio” abbia fatto riferimento il nostro presidente.
Per un attimo – essendo Napoliano un uomo del Sud e ed essendo noi gente del Sud Italia – abbiamo sperato a un riferimento sugli equivoci del Risorgimento. Ci siamo illusi che, finalmente, a ricordare che il Sud d’Italia non solo non ha affatto gradito l’arrivo dei piemontesi nel 1860, ma ha vissuto quel periodo come una conquista da parte di gente odiosa non siano solo i libri di Pino Aprile e dibattiti che, grazie a Dio, vanno prendendo piede in tanti centri del Mezzogiorno. Abbiamo sperato che anche il Presidente della Repubblica – che la tormentata storia del nostro Paese degli ultimi 150 anni la conosce bene – avesse deciso di dire che, in effetti, 150 anni fa qualcosa non è andata per il verso giusto: che i guasti provocati al Sud in quegli anni sono stati enormi: che tali guasti, nel corso dei decenni, si sono incancreniti: che l’economia del Sud d’Italia, da allora ad oggi, è cresciuta molto meno rispetto al Nord del Paese: che oggi la questione meridionale è stata del tutto rimossa dalla politica nazionale. Invece, purtroppo, non abbiamo sentito nulla di tutto questo. Peccato.
Peccato perché Napolitano è un uomo politico di qualità: da lui ci saremmo aspettati non solo un accenno fermo alla questione meridionale, ma anche un invito perentorio al governo nazionale ad occuparsi del Sud. Invece, nulla di tutto questo è stato detto. Peccato.
Abbiamo apprezzato l’invito – che supponiamo sia stato rivolto agli attuali governanti – a “non incidere sulla povertà”. Alla luce di queste parole, però, ci chiediamo – non possiamo non chiedercelo – perché mai lo stesso Presidente della Repubblica abbia affidato l’incarico di capo del governo a un personaggio – Mario Monti – che sta facendo l’esatto contrario: e cioè sta facendo pagare la crisi ai ceti più deboli, con in testa i pensionati.
Giustissime le parole del Presidente sul debito pubblico da ridurre, sulla spesa pubblica da contenere, sull’esigenza di nuove politiche sociali (che in molte realtà del Sud – e in particolare in tante città piccole, medie e grandi Sicilia – sono, in realtà, del tutto scomparse). Ed è condivisibile l’atmosfera, segnalata da Napolitano, di una certa “insoddisfazione verso l’Europa”.
Analisi corretta, quella del capo dello Stato sull’Unione Europea. Anche se noi – dal nostro punto di vista – non siamo convinti che, rispetto ai temi dell’Europa unita, “bisogna andare avanti e non indietro”. Questo lo pensa Napolitano: e noi rispettiamo il suo pensiero. Ma nessuno ci leva dalla testa che l’allargamento a 27 dei Paesi dell’Unione Europea è stato un grave errore di prospettiva economica e politica. E che l’euro, fino ad oggi, ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti.
L’Unione Europea – per come è andata delineandosi dal 2001 ad oggi – e l’euro non sono due prescrizioni mediche che dobbiamo assolutamente seguire. La verità è che, oggi, l’Unione Europea, più che un unione tra Paesi che cooperano tra loro, appare sempre più come una sommatoria informe di realtà diverse che non riescono a trovare una sintesi comune. La vicenda della Grecia è emblematica. Il ‘salvataggio’, o presunto tale, di questo Paese è stato messo a punto con notevole ritardo. Proprio perché, contratriamente alla retorica che ci propinano ogni giorno, tra i Paesi della ‘presunta’ Unione Europea non c’è alcuna solidarietà, ma solo interessi che, ogni giorno, diventano sempre più contrastanti.
Per non parlare di quello che succede quando c’è da fronteggiare l’arrivo dei migranti. Rispetto a questo problema epocale l’Unione Europea non ha fatto assolutamente nulla. Si è limitata a giocare a scarica barile. Sono arrivati da voi in Italia? Teneteveli. Punto. O dobbiamo dimenticare quello che è successo alle frontiere tra il nostro Paese e la Francia, con i nostri ‘cugini’ d’Oltralpe che impedivano fisicamente il passaggio dei migranti dal nostro Paese al loro?
A fronte di problemi economici, finanziari e sociali immani, l’Unione Europea continua ad essere governata da un esecutivo – la Commissione – che non è espressione della volontà popolare, ma di potentati, consorterie e persino massonerie che nulla hanno a che spartire con l’Europa unita sognata da Gaetano Martino e Altiero Spinelli. Il tutto con un parlamento europeo costoso, autoreferenziale e che, soprattutto, non ha alcuna incidenza sulle attività di governo.
A questa Unione Europea di potentati e di massonerie finanziarie il nostro Paese continua a cedere quote sempre più consistenti di sovranità: e questo non è più accettabile.
Qualche giorno fa, sulle pagine del nostro quotidiano, Loris Sanlorenzo ha illustrato con lucidità che cosa è l’Italia del governo Monti e che cosa è l’Unione Europea. Arrivando alle conclusioni a cui arriviamo oggi noi: l’Italia deve cominciare a mettere seriamente nel conto l’ipotesi, tutt’altro che remota, di uscire dall’Unione Europea. E di seppellire l’euro prima che l’euro seppellisca noi.

 

Giulio Ambrosetti

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