Rieleggere Giorgio Napolitano (un uomo di 88 anni, forse il capo di Stato più vecchio al mondo) è l’ammissione del fallimento e dell’inadeguatezza del gruppo dirigente del Pd. La Chiesa, istituzione millenaria, ha saputo far di meglio. Il Partito democratico, istituzione breve e transitoria, sta consumando la sua parabola tra i veleni delle molte congiure e i tamburi per improbabili riscosse.
E un movimento tellurico che travolgerà tutti. La dirigenza del Pd, per salvare se stessa, ha bruciato i ponti con il Paese e il suo elettorato. I resti di quello che è stato il più grande Partito italiano risalgano in disordine e senza speranza le valli elettorali che da novembre scorso avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
Anche Matteo Renzi, con il suo assenso alla riconferma di Napolitano, perde una storica occasione per essere davvero diverso e distante dalloligarchia del Pd che ha combattuto.
Dopo avere impallinato Prodi per ben tre volte (lo ha fatto ne 1998 disarcionandolo dal Governo, ha replicato nel 2008 togliendolo, per la seconda volta, da Palazzo Chigi, mentre ieri gli ha fatto mancare – cosa incredibile! – addirittura cento voti allelezione per la Presidenza della Repubblica) le anime buie del Pd, mai in grado di dirigere davvero il Paese, hanno deciso di incendiare ciò che non potevano raggiungere.
Napolitano, se davvero avesse avuto a cuore le sorti dellItalia, avrebbe dovuto rifiutare la candidatura e costringere i grandi elettori ad essere onorabili dai milioni di cittadini oramai allo stremo. Non lo ha fatto ed è rimasto al Quirinale. Con tutto il rispetto per il nostro Presidente della Repubblica, è stato un errore.
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