Mutolo, dall’inferno alla pittura. “Ho ‘imparato’ a Bagarella a dipingere i fiorellini”

IL COLLABORATORE DI GIUSTZIA INTERVIENE TELEFONICAMENTE ALL’INAUGURAZIONE DELLA SUA MOSTRA PERSONALE A PALERMO, RICORDANDO COME HA CERCATO DI COMUNICARE LA PASSIONE PER LA PITTURA A FEROCI BOSS DELLA MAFIA IN CARCERE. PRESENTE ANNA VINCI AUTRICE DI “LA MAFIA NON LASCIA TEMPO” UN LIBRO CHE CHIARISCE MOLTE COSE, ANCHE NELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA

di Gabriele Bonafede

Nella Palermo popolare, il verbo “imparare” significa anche “insegnare”. E quando Mutolo interviene telefonicamente all’inaugurazione della sua mostra personale a Palermo dicendo “ho imparato a Bagarella a dipingere i fiorellini” racchiude in poche parole il lungo e doloroso percorso del suo passaggio da feroce assassino a pittore. Di quell’iperbole che lo ha fatto scendere negli inferi della mafia palermitana e corleonese per poi uscirne, con una difficile ma costante risalita, grazie all’incontro con i massimi eroi dell’antimafia, Falcone e Borsellino, cercati e trovati nelle ultime settimane della loro vita.

Un percorso che è ben disegnato e chiarificato nel volume “Gaspare Mutolo, la mafia non lascia tempo” co-scritto con Anna Vinci ed edito da Rizzoli nel 2013. Non si può infatti capire un pentimento che ha del miracoloso e dell’emblematico nel caso di Gaspare Mutolo e quindi non si può capire il significato e anche il “segno artistico” delle sue opere in questa mostra (allo “Spazio Cannatella” aperta fino al 10 Novembre) senza aver letto questo libro.

Nella sua iperbole, c’è infatti l’imparare e l’insegnare nello stesso tempo, coinvolgendo altri mafiosi nel collaborare alla giustizia e persino “insegnare a dipingere fiorellini” a feroci profittatori, rivoltanti pluriomicida non ancora pentiti dello stampo di un Bagarella o un Riina.

Con questa mostra Mutolo vorrebbe, riuscendoci, rientrare nel mondo della civiltà, attraverso uno stretto passaggio nel suo caso: quello della cruna dell’ago, quello del figliol prodigo e della pecorella smarrita. Non tutti credono a questo percorso. A torto. Infatti, non è necessario essere esperti di psicologia e arte-terapia per capire l’immane salita dagli inferi, operata dall’autore, attraverso la visione delle opere. Salita che appare ancora più comprensibile e decifrabile nelle pagine di Gaspare Mutolo, la mafia non lascia tempo.

Rean Mazzone (produttore del film “Belluscone”) Anna Vinci (scrittrice, biografa di Tina Anselmi e autrice di “Gaspare Mutolo, la mafia non lasciatempo”) alla mostra di Mutolo. Foto di Giusi Andolina

Mutolo rimane un uomo con un passato a dir poco spaventoso, inaccettabile. Uccideva le proprie vittime, per sua stessa ammissione, “strangolandole fino a quando il sangue usciva dalle orecchie e si pisciavano addosso, segno della morte avvenuta”. E uccideva ubbidendo ciecamente a ordini feroci senza fare una piega, come se fosse una cosa normale, freddo esecutore paragonabile al peggior criminale nazista, senza se e senza ma. E proprio per questo, il suo pentimento e la sua ricerca di vita hanno del miracoloso.

Non ci sono ancora segni di vita nelle sue opere che possono essere considerate “naif” nella tecnica ma non certo nella valenza, nella comunicazione e nell’ambiente psicologico e sociale che esse rappresentano. La mafia entra con i suoi tentacoli dentro le case, sempre nude, tutte uguali, spersonalizzate e ripetitive, anche sotto quel cielo azzurro di Palermo. Solo nelle ultime tele fanno capolino figure umane, ancora oggi ombre nere senza alcuna connotazione umana se non nella sagoma. “Ho ucciso ‘solo’ altri mafiosi e nessun uomo di giustizia”, dichiara Mutolo nel libro autobiografico, cercando un minimo di correttezza in un passato che non può averne. E che non ne ha avuto finché lui stesso ha cominciato a pensare al futuro anziché al passato, redimendo, così, almeno in parte, anche il passato.

 

 

Gabriele Bonafede

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