Fratelli d’Italia si muove a ritmo dance. Il remix degli slogan di Giorgia Meloni in comizio accompagna, prima velatamente e poi esplicitamente, l’inaugurazione dell’edizione 2019 di MuovitItalia. La manifestazione che una volta voleva essere del centrodestra e che adesso, complice anche il logo di Fratelli d’Italia inserito direttamente nella locandina, somiglia a una convention di partito. Del resto, e il tormentone musicale lo conferma, Meloni è la leader del momento. Sale sul palco dell’hotel Le dune introdotta dal sindaco di Catania Salvo Pogliese: «Lei è Giorgia, è una donna, è una mamma ed è cristiana». Poi parte la musica e Meloni la accompagna con la testa.
Il comizio è in pieno stile Meloni. I temi ci sono tutti: gli extracomunitari, i commercianti cinesi, i barconi, perfino la storia della sostituzione etnica. Ma il dato politico, almeno in chiave locale, è quello sciorinato poco prima durante gli interventi in sequenza che la precedono. A condurre la serata è Basilio Catanoso che, tra un «lui è più giovane di me» e l’altro, presenta i giovani di Fratelli d’Italia. La futura «classe dirigente» della destra italiana. O, almeno, catanese. Vedi alla voce Alberto Cardillo e Dario Moscato. Con la sua chiusura su «Dio. Patria. Famiglia», Moscato forse apre il cassetto dei ricordi del senatore Ignazio La Russa, che parla dopo.
È La Russa, del resto, a incarnare i motivi per i quali Fratelli d’Italia è nato. «Quando sette anni fa andai da Berlusconi e gli dissi, senza litigare, “Caro Silvio, ti lasciamo e andiamo a fondare Fratelli d’Italia”, era una scommessa – racconta – Pensate la gioia nel vedere che adesso quella scelta si è rivelata vincente». Il discorso del vicepresidente del Senato, poi, continua con la storia della destra, prendendo come spunto la caduta del muro di Berlino di cui domani ricorre il trentesimo anniversario. «Quando torno a Catania penso agli uomini che qui in Sicilia erano il nostro faro». Il primo a essere citato è Filippo Anfuso. Per lui scatta un applauso spontaneo.
La storia del catanese Anfuso («Alla sua morte vidi mio padre piangere», racconta La Russa) non è tra le più note: ex segretario e amico del fascista Galeazzo Ciano, fu ambasciatore italiano a Berlino per la Repubblica di Salò. Dopo la guerra, tornò in Italia e nel 1953 venne eletto alla Camera dei deputati. Che poi è il posto dove morì. In aula, a Montecitorio, dieci anni dopo la sua prima elezione, «con la sua naturale e proverbiale eleganza», ricorda il senatore paternese. «Muore in parlamento combattendo una battaglia che, dopo di lui, ci onoriamo di continuare».
Deve essere sembrato un eccesso di nostalgia del fascismo perfino al primo cittadino Salvo Pogliese, che prende la parola pochi minuti dopo e, per prima cosa, modera i toni: «Dopo l’amarcord missino – dice Pogliese – io voglio ricordare che le porte sono aperte per tutti, siamo un partito inclusivo». È chi non è ancora passato sotto l’ombrello blu di Fratelli d’Italia, del resto, l’obiettivo del sindaco etneo. Lui stesso, però, non disdegna l’ammiccamento: «Grazie dell’entusiasmo con cui avete risposto “Presente”».
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