Morte Daniela Rincione, parenti contro richiesta archiviazione Le tre versioni del compagno pompiere indagato per omicidio

È una storia controversa quella della morte di Daniela Rincione. La donna di 50 anni e madre di due figlie trovata senza vita all’interno del suo appartamento a Baida – una borgata alla periferia di Palermo – la sera del 15 dicembre del 2018. Più di tre anni dopo, è arrivata una richiesta di archiviazione avanzata dalla procura palermitana nei confronti del suo compagno Francesco Ioco, vigile del fuoco esperto in speleologia, che è indagato per omicidio volontario. Una conclusione a cui il magistrato sarebbe arrivato perché dall’autopsia «non è emerso alcun elemento che potesse far propendere per l’intervento di altri nel decesso». Insomma, nella tesi della procura, la donna – che è morta per impiccamento atipico incompleto – si sarebbe suicidata perché «sul suo corpo non sarebbero stati trovati segni di colluttazione o difesa», spiega a MeridioNews l’avvocato Marco Giunta che assiste i familiari della donna che si sono opposti alla richiesta di archiviazione. Nell’udienza di oggi, a prendere la parola saranno i legali della difesa Rosario Vento e Giovanni Di Benedetto. Poi toccherà al giudice decidere se archiviare definitivamente il caso, disporre nuovi accertamenti per integrare le indagini oppure chiedere al pm di formulare un’imputazione coatta per l’indagato. 

Una scala di ferro a pioli aperta e posizionata davanti ai fornelli nella cucina del piccolo appartamento, una corda sul pavimento e il corpo senza vita di Daniela sul divano coperto fino al mento con un plaid. È questa la scena che si trovano davanti Laura, la sorella della vittima, e suo marito Enzo – che è un ispettore di polizia – quando arrivano in quella casa dopo essere stati chiamati alle 2.36 proprio da Francesco. Indica la scala e racconta che la donna si è tolta la vita mentre lui stava dormendo sul divano e non si è accorto di nulla, nonostante fosse a meno di due metri di distanza. Una prima versione che non sarà l’unica fornita dal pompiere. Nelle dichiarazioni agli inquirenti dice che quando si è svegliato ha visto «Daniela con le spalle rivolte a me, con le gambe leggermente piegate e con i piedi che toccavano il pavimento. Mi accorgevo che si era impiccata con una corda attaccata a una scala in ferro. Preciso che la corda era passata attorno agli ultimi gradini». Racconta poi di averla slegata, adagiata in un primo momento a terra per farle un massaggio cardiaco e poi spostata sul divano. Il tutto senza mai chiamare i soccorsi

Qualche giorno dopo, è al cognato che Francesco che ammette che, in realtà, la scala non ha nulla a che vedere con la scena del crimine. Nella conversazione di circa un’ora che il poliziotto registra, confida che Daniela si è impiccata con una corda attaccata alla trave della cucina. Un’imbracatura domestica che lui stesso avrebbe preparato su richiesta della donna che aveva sviluppato un’improvvisa – e sconosciuta a parenti e amici – passione per l’arrampicata. Quando lui si sveglia e la trova morta, ripone nello zaino tutte le attrezzature: le funi, il moschettone, le fascette. In sostanza, smantellando l’impianto, modifica la scena del crimine. Una versione che cambia ancora sette mesi dopo quando, davanti al pm, dichiara di avere sistemato lui tutta l’imbracatura ma senza la corda che Daniela avrebbe preso dal suo zaino mentre lui dormiva. «Ero frastornato per via del monossido, perché era tutto chiuso – ha dichiarato l’uomo – e avevo dormito con la testa vicino alla fiamma». Continua la sua ricostruzione facendo riferimento a un episodio in cui aveva «visto in un film un uomo morto per monossido di carbonio e mi è venuto un flash: ho pensato che lei ha pensato che fossi morto e per questo si è uccisa». Un gesto che i familiari escludono. 

«Nessuna delle tre ricostruzioni ci convince – dice l’avvocato Giunta – perché le circostanze non corrispondono a elementi scientifici che sono stati provati. Per esempio, dall’autopsia è emerso che nello stomaco di Daniela c’era del cibo non perfettamente ingerito. E, posto che loro cenano tra le 19.30 e le 20, l’ora della morte non può essere fissata dopo le 23.30». Passate più ore, la cena sarebbe già stata completamente digerita. Il compagno ha raccontato di essersi addormentato alle 21 e di essersi svegliato alle 2 trovando Daniela già «fridda, fridda, fridda (fredda, ndr)». «Per il principio del rigor mortis – sottolinea il legale – non è possibile che lui l’abbia trovata, come racconta, impiccata con le gambe piegate e che poi la donna fosse distesa sul divano». Inoltre, ci sarebbe anche la testimonianza di una vicina di casa che proprio quella sera li avrebbe sentiti discutere a voce alta intorno alle 22.40. Una circostanza non rara stando a quanto hanno raccontato altri abitanti della zona ai microfoni della trasmissione Chi l’ha visto?. In quella che Francesco descrive come una «relazione idilliaca», ci sarebbero stati continui litigi. Tra gli altri ce ne sarebbe uno avvenuto in macchina a cui avrebbe assistito un’amica di Daniela, dal sedile posteriore dell’auto: Francesco, a un certo punto, avrebbe stretto il polso di lei che sarebbe rimasta immobile. «I familiari avrebbero anche notato lividi sulle spalle e sulle gambe della donna che però – riferisce il legale – avrebbe eluso la risposta e, in un’altra occasione, riferito di avere sbattuto». 

I due, che erano stati insieme nel periodo dell’adolescenza, si erano rincontrati a distanza di trent’anni. Ognuno con una famiglia alle spalle. Lei, già da oltre sei mesi, era andata via di casa e aveva avviato le pratiche di separazione dal marito, lui non ancora. Ed è proprio la moglie di Francesco che, intercettata mentre parla con delle amiche, racconta che quella sera lui e Daniela «hanno litigato di brutto, perché lei pressava per la separazione». In una conversazione con la suocera, avvenuta nel luglio del 2019, la donna riferisce quanto sa di quello che è successo «quel maledetto giorno. Franco l’ha scesa, che non lo doveva fare […] Non è stato nella scala, è stato nella stanza da letto». Un dialogo da cui sembra venire fuori una quarta versione dei fatti. «Era nervoso e mi fa: “A te chi te l’ha detto che non sono stato io?“. L’ho guardato e gli ho detto di smetterla e che mi fido di lui. Tempo fa, piangendo – continua la moglie parlando con la madre di lui – mi ha detto che voleva andare lì a dire che era stato lui. “Bravo” gli ho detto “tanto io questo bambino me lo crescevo da sola, giusto?”». Parole che lasciano intendere una presunta volontà dell’uomo di confessare. Dall’analisi dei dispositivi, è emerso che Ioco avrebbe consultato la categoria “porno acrobatico” in alcuni siti online e che avrebbe anche mandato un video con contenuti simili alla donna. Per questo, tra le piste al vaglio dell’accusa oltre a quella di un’aggressione al culmine di una lite, ci sarebbe anche quella di una tecnica di bondage finita male. Un’ipotesi che si basa «anche sulla posizione in cui è stato trovato il cuscino sul letto», conclude l’avvocato. 

Marta Silvestre

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