Morire a vent’anni durante la leva Il caso Malgioglio, una storia senza colpevoli

«Diciassette anni nelle aule di tribunale rincorrendo una verità storica che purtroppo non coincide mai con la verità giudiziaria». E’ la storia di Salvatore Malgioglio (originario di Francofonte, Siracusa), giovane miltare morto misteriosamente a 20 anni, mentre prestava servizio. A raccontarla nel romanzo Il mistero di Fata Morgana è Santi Terranova, legale che seguì la famiglia durante il processo.

Più di 1500 copie già vendute ed una seconda ristampa già disponibile nelle librerie, il romanzo sarà presentato oggi pomeriggio a Lentini, cittadina dell’autore. L’appuntamento è alle 17.30 a Palazzo Magnano di San Lio, in via Garibaldi.

Nel libro Terranova è l’avvocato Valenti e ricostruisce i passaggi che portarono Salvatore alla morte, avvenuta la notte tra il 16 e il 17 luglio 1994, durante il turno di guardia nel parcheggio della Stat (società di trasporti a Santa Teresa Riva, Messina), dove controllava uno degli obiettivi sensibili nella lotta al racket nell’ambito dell’operazione Vespri Siciliani. La prima ipotesi, portata avanti per anni in tribunale, fu il suicidio. Per tutti Salvatore si era sparato un colpo di fucile in testa. Una verità, smentita solo molti anni dopo, durante il processo d’appello, nucleo del romanzo.

«Con questo libro ho voluto mettere la parola fine ad una storia che è durata tantissimo tempo e che andava raccontata», spiega l’autore. «Ma soprattutto ho voluto dare un riconoscimento alle famiglie che aspettano con pazienza e fiducia il verdetto della giustizia. Per poter dire a tutti: “Nostro figlio non si è suicidato”».

Una vittoria importante per un processo che sembrava non avere più una fine. Una vicenda piena di luci ed ombre in cui, «pur essendo giunti a dimostrare che Salvatore non si è tolto la vita – racconta Terranova – resta l’amarezza per aver constatato che le indagini non erano state fatte correttamente nell’immediato e la mia insoddisfazione, da uomo di giustizia, che aveva portato in aula tante prove diverse da quelle che furono presentati all’inizio». Tra cui il confronto con altri casi del genere, come quello di un altro siracusano Emanuele Scieri, che emerge in numerosi parallelismi all’interno del romanzo. Dietro queste morti, un fenomeno atavico e brutale: il nonnismo.

I dati non mentono. Sono migliaia gli episodi dentro le caserme italiane, i più numerosi risalgono agli anni prima dell’abolizione del servizio militare. Tantissimi però i casi in cui non si è riusciti a fare luce. «Purtroppo – racconta l’avvocato – quando si verificano tragedie di questo tipo si tende a preservare il buon nome dell’esercito a discapito della verità. E se le indagini non vengono fatte bene sin dall’inizio – continua – dobbiamo arrenderci di fronte a regole di giudizio come quella che nessuno può essere condannato se non ci sono prove forti della colpevolezza».

In questo caso, «come Fata Morgana fece apparire molto vicine le coste della Sicilia, ingannando il Re Barbaro che volle approdare sull’isola e invece annegò in mare, allo stesso modo io e i giudici che si sono occupati di questa vicenda, più volte abbiamo avuto la sensazione di arrivare quasi a toccare la verità». La stessa verità che l’autore – oggi impegnato come legale di parte civile nel caso del laboratorio dei veleni della facoltà di Farmacia di Catania – non ha ancora perso la voglia di accertare tramite la sua professione.

«Fu un processo lungo e complicato – racconta – Ma oggi, anche ad un’età matura, rifarei la stessa cosa. Sono passati tanti anni e non ho perso la voglia e la passione di fare l’avvocato e di farlo in un certo modo».

Federica Motta

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