È l’Etna il protagonista (o la protagonista, noi la appelliamo al femminile) del nuovo pezzo – bellissimo – di Morgan. Grande e tenerissimo Morgan, con questo suo secondo pezzo (in attesa del terzo): dopo Rutti, Rutta, un dissing contro Emma Marone e Calcutta che, dopo infime, infimissime vicende di litigi tra (ex) innamorati con Angelica Schiatti (infime nel senso artistico, ogni supposto reato è infimo, e infatti la questione è, giustamente, in mano alla magistratura, nella quale Morgan, ha dichiarato, ripone ogni fiducia), pubblica un meraviglioso pezzo, Rutta, dopo che Emma Marone, in un impeto di raccolta di facile consenso giudicante (non parliamo del giudizio della magistratura, ma di quello della strada, del cortile, della provincia italiana), dichiarò: «In un mondo di Morgan siate Calcutta», il che è un invito strambo che suggerisce di essere altro da noi, così, perché ce lo dice Emma Marone, quando si sa, eccome se lo si sa, o almeno lo sanno chi frequenta pensiero e autocritica, che sì, si può cambiare, si può diventare altro da sé e persino contro di sé, ma è un processo, una distillazione lunga e dolorosa e non avviene perché te lo dice Emma Marone.
Ecco, a questa intemerata («In un mondo di Emma Marone siate Eisenberg») Morgan, espulso dalla società civile (che, per inciso, non esiste, cito Manlio Sgalambro: «Non solo vogliono la società, per di più la vogliono giusta»), risponde con un brano, Rutta, che parte come una hit e poi si sgretola, come ci sgretoliamo tutti noi, che nasciamo belli, talentuosi, ammirati e poi, sotto i colpi della vita, del mondo, di Dio, dei vicini di casa, andiamo putrefacendoci. Per questo Rutta è un capolavoro di musica classica (dentro c’è anche il melodramma), dimostra nei primi 40 secondi che Morgan sarebbe capace di scalare le classifiche, alla maniera di Franco Battiato che in una scommessa con se stesso scrisse Un’estate al mare per Giuni Russo. E ci riesce, prima di mandare a quel paese in maniera dodecafonica se stesso, la vita, la musica, raccontando così di che pasta siamo fatti tutti noi e come siamo cristalli pronti ad andare in frantumi. Ed è per questo che la presenza del vulcano Etna è simbolico, archetipico, rappresentativo, della nostra condizione umana, in cui il chiacchiericcio, gli errori, le cazzate, si svolgono sotto una natura bestiale e impietosa e basta una scrollata di spalle, un’eruzione, un terremoto, per purificare l’Essere da tutto il nostro pessimo: pessimo che abbiamo ognuno di noi, anche se Emma Marone e Calcutta se lo dimenticano, a meno di non volere fare dei due, non so, due santi subito e allora bisognerebbe dirlo a Papa Francesco.
Ricordo una intervista al Maurizio Costanzo Show di Manlio Sgalambro in cui il mio maestro ebbe a dire: «Fosse per me i quotidiani dovrebbero occuparsi di catastrofi, asteroidi che stanno per impattare la terra, grandi glaciazioni, stritolamento dell’umano». Deve essere passata in Morgan questa lezione di Manlio (lo ha frequentato) quando al rutto di Emma Marone il grande e tenerissimo Marco contrappone il rutto dell’Etna mettendo tutto in una prospettiva metafisica che è l’unica prospettiva accettabile. Poi, certo, Morgan, come me, come te, come tutti, può avere fatto cazzate (chi non ne fa a parte i nazisti e i superuomini e le beghine pronte a giudicare su tutti). Abbiamo dimenticato la grande vulgata cristiana: non giudicare o sarai giudicato. Abbiamo dimenticato la grande vulgata popperiana. Abbiamo dimenticato come è fatto l’umano.
E a me, gliel’ho scritto, Morgan ferito che sbraitava contro Angelica Schiatti, magari in una serata in cui le sostanze nelle quali si cerca conforto prendono il sopravvento, mi è sembrato quell’altro grande e tenerissimo Carunchio della Wertmuller. E mi spiace solo una cosa, che Marco Castoldi, in quei brutti messaggi, non abbia avuto la lucidità di dire BOTTANA INDUSTRIALE, perché poi alla fine l’arte è soprattutto autoironia e avrebbe messo tutto nella giusta prospettiva. Ma, come detto, è tutto in mano alla magistratura come è giusto che sia. Ciò non toglie che Rutta sia un capolavoro di musica colta. E che agire, ossia pubblicare, ossia parlare nel deserto, possa essere anche il destino di chi, in mano a tutte le tentazioni, trova infine se stesso.
Il testo di Rutta di Morgan
In un mondo di Mo
col vulcano che erutta
siate ca
e vedrete che rutta.
In un mondo di Morgan
col vulcano che erutta
siate cal
e vedrete che rutta.
In un mondo di M
pieno di pezzi di me
che capiscono me
basta che ascoltino M.
In un mondo di M
pieno di pezzi di me
che capiscono “me”
appena ascoltano “emme”.
Non c’è niente di più comodo
di una poltrona comoda
non c’è niente di più scomodo
di una persona scomoda
non c’è niente di più ovvio
di una cosa ovvia
ed è ovviamente che nel niente
non c’è niente.
In un mondo di Mo
non piace chi usa gli altri per suo tornaco,
in un mondo di Mo
o sei autentico e non prendi per il Q
o verrai criticato ma non punito,
rimproverato ma non umiliato,
perché in un mondo di Mo
si vive con energia fornita da arte e da filosofia, che danno direzione e stile all’esistenza, e non si studiano per poi comportarsi da merde.
Nel mondo di Mo la musica ha un senso: si ascolta, si impara,
se ne parla, ci sono i suoni,
canzoni, parole, sguardi, espressioni, dialoghi,
obiezioni, discussioni,
non ci sono le manipolazioni e prevaricazioni,
ci sono le idee nella luce della libertà, incluse le trasgressioni.
In un mondo di Mo
la parola è contatto
siate cal
e diventa ricatto.
In un mondo di Morgan
col vulcano che erutta
siate cal
e vedrete che rutta.
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