Monte dei Paschi di Siena: quando la politica, per mantenere il potere, diventa distruttiva

U COMUNICATO DI CARMELO RAFFA (FABI) PUNTA IL DITO SUL MONTE DEI PASCHI DI SIENA. BANCA CON UN CAPITALE SOCIALE DI 2,3 MILIARDI E DEBITI PER 3 MILIARDI DI EURO! BANCA CHE POTREBBE ESSERE RICAPITALIZZATA A GENNAIO. MA LA FONDAZIONE (CIOE’ LA POLITICA: INDOVINATE QUALE PARTITO?) SI OPPONE. IN ATTESA CHE ARRIVI LO STATO… PER MOLTO MENO LA NOSTRA ISOLA HA PERSO BANCO DI SICILIA E SICILCASSA. MA PER I SENESI SI FA QUESTO ED ALTRO: SI VA ANCHE IN DEROGA ALLA UE…

In materia bancaria l’argomento del giorno, in Italia, è il Monte dei Paschi di Siena. E’ un ‘caso’ strano. L’unico in cui – ma guarda un po’ che caso – l’Italia non ne vuole sapere di seguire gli indirizzi dell’Unione europea.
Parliamo del Monte dei Paschi perché in redazione è arrivato un comunicato di Carmelo Raffa, dirigente nazionale della Fabi e leader indiscusso di questa organizzazione sindacale in Sicilia (per la cronaca, primo sindacato nel mondo bancario dell’Isola”.
“Nelle ultime ore – scrive Raffa – si susseguono le notizie relative al futuro del Monte dei Paschi di Siena e certamente non confortano i dipendenti e coloro che hanno a cuore la sorte di quest’importante Istituto di Credito. Nessuno può annoverarmi tra gli amici di Alessandro Profumo col quale abbiamo avuto solo ed esclusivamente polemiche sulla vicenda legata alla sana gestione operata dall’Amministrazione del Banco di Sicilia capitanata da Salvatore Mancuso nel 1997 che si prefiggeva di mantenere un po’ di autonomia gestionale per la nostra Isola”.
“Ma in questo momento – aggiunge Raffa – non posso che esprimermi contro coloro che boicottano il progetto di ricapitalizzazione del MPS presentato da Alessandro Profumo e guarda caso costoro sono da identificare con persone della Fondazione e del Comune di Siena che mirano a continuare a gestire e controllare l’Istituto di Credito. Occorre non dimenticare che proprio la Fondazione, qualche anno fa, avallò l’acquisizione dell’Antonveneta senza pensare al costo eccessivo ed insostenibile dell’operazione”.
“Questi signori – precisa ancora il segretario della Fabi di Palermo – anziché recitare il mea culpa sull’operato degli amministratori da loro nominati negli anni precedenti, che hanno portato al dissesto economico dell’Azienda, sognano di continuare a fare il bello ed il cattivo tempo nella gestione del Monte dei Paschi di Siena. Occorre far capire a costoro che non si vive nel libro dei sogni, ma nella realtà”.
Proviamo, adesso, a ricostruire quello che sta succedendo in questo fine anno a questa banca. Forse è opportuno iniziare dalla fine del 2008, anno cruciale, quando il Monte dei Paschi inizia a trovarsi in difficoltà per via di transazioni sbagliate. Nel 2009 le cronache descrivono doviziosamente l’ ‘indigestione’ che provocata alla banca senese dalla temeraria acquisizione della rivale Antonveneta. Un’operazione costata 9 miliardi di euro.
Dopo tale acquisizione, considerata da molti osservatori irrazionale, lo scenario è peggiorato. fino a quando non si è materializzato l’accordo tra l’Unione Europea ed il Ministero delle Finanze. Il ‘succo’ è il seguente: lo Stato italiano – cioè i contribuenti – prestano al Monte dei Paschi i soldi per evitare la bancarotta emettendo i cosiddetti Monti bond.
Siamo già arrivati al 2012, quando a governare l’Italia c’è Mario Monti. In cambio del prestito, la Fondazione, che controlla la banca, si impegna a votare un aumento di capitale di 3 miliardi di euro per ripagare il prestito attraverso la vendita di azioni nel gennaio del 2014.
Nel frattempo al vertice del Monte dei Paschi è arrivato Alessandro Profumo. Ed è lo stesso Profumo che si impegna a trovare gli investitori disposti ad acquisire le quote necessarie per produrre l’aumento di capitale.
L’operazione va in porto: Profumo trova un gruppo di 10 banche, guidate dall’UBS svizzera, pronte a sottoscrivere la vendita delle azioni per il valore di 3 miliardi di euro. Tutto sembra a posto. Ma improvvisamente – e siamo arrivati ai giorni nostri – l’operazione sfuma. Perché?
La tesi ufficiale è che a Siena non vogliono “stranieri”. Ma la verità è un’altra, ed è legata ai rapporti tra questa banca e la politica (leggere PD).
L’aumento del capitale di 3 miliardi di euro metterebbe in fuori gioco la Fondazione, che ancora oggi controlla il Monte dei Paschi di Siena. Con la ricapitalizzazione messa in atto dalle banche, anche estere, la banca senese diventerebbe una vera banca, non più condizionata dalla politica italiana (leggere sempre PD). Proprio quello che vuole l’Unione Europea.
Si può e si devono discutere le misure che la Ue chiede all’Italia. Anche in materia bancaria. Ma è singolare che un Governo – con riferimento al Governo Letta-Alfano-Bilderberg – che chiede agli italiani di genuflettersi a tutti i dettami di Bruxelles, non trovi nulla da dire ad una Fondazione bancaria che si oppone a una precisa indicazione dell’Unione europea!
Insomma: a quanto ci sembra di capire le prescrizioni della Ue, in Italia, valgono per tutti, tranne che per il Monte dei Paschi di Siena! E’ possibile tutto questo?
Il problema, che la Fondazione finge di non vedere, è il capitale sociale del Monte dei Paschi di Siena ammonta a 2,3 miliardi di euro. cifra inferiore al debito che la stessa Banca ha contratto con lo Stato!
Va sottolineato che, per molto meno, la Sicilia ha perso il Banco di Sicilia e la Sicilcassa. Allora la proposta di una ricapitalizzazione delle due banche siciliane non si pose nemmeno: i massoni della Banca d’Italia – una delle peggiori istituzioni italiane e, di certo, la più antimeridionale della storia repubblicana del nostro Paese – decisero che con i soldi e il patrimonio delle due banche siciliane si sarebbero dovute salvare alcune banche del Centro Nord Italia: e così fu (vedere operazione Capitalia, vero e proprio vaso di Pandora del sistema Italia).

Detto questo, la domanda finale: come finirà con il Monte dei Paschi di Siena? Profumo dice che aspettare maggio (data in cui gli azionisti hanno posticipato la ricapitalizzazione) per ricercare compratori è un errore: l’offerta di pacchetti azionari bancari sarà alta ed i prezzi di vendita per piazzarli dovranno scendere. In pratica, diventerà più difficile (e più costoso) trovare i 3 miliardi di euro. Insomma, l’operazione fatta a gennaio costerebbe meno (basti pensare agli interessi per 5 mesi: 160 milioni di euro).
Ma forse l’operazione non s’ha da fare. Forse i signori della Fondazione aspettano che ad intervenire, ancora una volta, sia lo Stato italiano, cioè i contribuenti. Per consentire alla politica di continuare ad avere una banca a disposizione. Pagata dalle tasse degli italiani. 
Sarà così? Vedremo. 

Redazione

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