«Sarà il primo forno di comunità, nel senso che metteremo a disposizione la nostra struttura per altre organizzazioni del territorio che condividono innanzitutto il nostro impegno antimafia». La storia del casolare abbandonato di Monreale, in contrada Castellana, sintetizza perfettamente le potenzialità di un reale contrasto alla mafia. Ex feudo di Bennardo Bommarito, mafioso affiliato alla cosca di San Giuseppe Jato, a luglio diventerà un forno rurale per la chiusura della filiera cerealicola e per la valorizzare della cultura della terra e del pane in un territorio a forte vocazione agricola e turistica.
Luciano D’Angelo ha seguito tutte le fasi del progetto, incentrato sulle fertili terre dell’alto belice corleonese. E non nasconde l’entusiasmo per l’avvio della nuova attività, che darà lavoro a tre persone (due donne e un uomo). L’attività artigianale rurale per la trasformazione di grani antichi locali e di altre varietà cerealicole ha una capacità produttiva di 300 chilogrammi di sfarinati al giorno. Inoltre sono già stati installati tutti i macchinari e le attrezzature indispensabili alla panificazione. Il progetto ha previsto poi una fase di accompagnamento di 16 ragazze e ragazzi, migranti ospiti dello Sprar di Roccamena, che li ha condotti all’acquisizione di conoscenze teoriche e pratiche per l’attività di lavorazione delle farine di cerali, la produzione di pane tradizionale di Monreale e di dolci e salati da forno della tradizione locale.
«L’intervento prevede che l’attività di produzione arrivi alla fine del progetto – spiega D’Angelo – A luglio selezioneremo tre persone, attraverso una scelta che dipenderà dalle capacità manuali. Noi abbiamo due tipologie di forno, quello a legno e quello elettrico. Col forno a legna realizzeremo il pane di Monreale secondo la tecnica antica, attraverso la selezione del ceppo, il lievito madre, la mescola di farine e la cottura con i vari refrattari realizzarti artigianalmente. L’altro invece riguarda la panificazione moderna, col forno elettrico a capacità modulari per realizzare la parte secca come i biscotti e di piccola lievitazione come brioche e panettoni. Lo scopo è quello di riportare un presidio del gusto a un grado di eccellenza».
Le attività che partiranno a breve nel bene confiscato, tuttavia, non hanno una finalità esclusivamente commerciale. «Si vuole poi realizzare una filiera di qualità e di eticità, che prevede il giusto compenso per i lavoratori e un prodotto che viene tracciato sin dalla semina, in modo tale che sia monitorato dagli stessi consumatori – continua D’Angelo – Una sorta di palazzo di cristallo dove tutti i passaggi sono riconoscibili: nelle etichette non ci limiteremo a ribadire il made in Italy, ma diremo chi è il produttore, chi è il confezionatore, insomma tutti i passaggi avranno un nome e cognome. Vorremmo creare un’economia circolare, partendo dalla filiera cerealicola. Il nostro forno inoltre non andrà in competizione con gli altri già esistenti, vogliamo invece proporre un modello di produzione che possa essere anche copiato da altri, in maniera tale da migliorare la qualità e la salute del cibo».
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