Molto fumo nel piano dell’Eni per Gela La bioraffineria è solo un abbozzo

Doveva rimanere segreta fino al 21 ottobre, giorno del tavolo tecnico tra Eni e istituzioni e sindacati. La proposta di riconversione e di compensazione sulla raffineria di Gela, denominato Accordo di programma per Gela, è invece uscita fuori dalle mani dei sindacalisti locali che ne hanno fornito alcune copie durante la seduta comunale di due giorni fa. Una bozza che è stata già rigettata dal consiglio e dall’amministrazione comunale.

«Stanno ribadendo quel che serve a loro e non al territorio» sono state le parole con le quali il consigliere di maggioranza Partito democratico Giacomo Gulizzi ha liquidato le 16 pagine firmate dal cane a sei zampe. Andiamo a vedere nello specifico di cosa si tratta. La premessa necessaria è che questa bozza ha perlomeno il merito, con un ritardo ed un’incertezza che va avanti da luglio, di presentare finalmente una prima idea di piano industriale per quel che riguarda il sito gelese. Finora infatti solo premesse e promesse, nulla di concreto. Adesso invece c’è qualcosa su cui si può discutere. Certo, intanto la nave affonda e questa mano tesa, con colpevole ritardo, è un aiuto interessato perché ha prolungato lo stato di emergenza.

L’accordo di programma

Nell’introduzione si afferma ciò che è già noto. La capacità di raffinazione in Italia per Eni deve essere ridotta, essendo un settore in perdita costante. «La sola raffineria di Gela – si legge nel documento – ha prodotto dall’anno 2009 perdite per oltre 2 miliardi di euro». Dati contestati dallo stesso Gulizzi, con cifre che ballano ad ogni incontro, e secondo il consigliere «strumentali per poter ricattare il territorio». In tale contesto la bozza conferma che «Eni ha predisposto un programma di sviluppo industriale delle proprie attività che prevede complessivamente investimenti fino a 2,2 miliardi di euro». A prima vista, rispetto agli accordi firmati a luglio che prevedevano 700 milioni di euro di investimento, sembrerebbe un netto miglioramento. Peccato che ci sia il trucco, e si veda ampiamente.

Tra gli obiettivi di programma «garantire l’occupazione in coerenza con il processo di riconversione dell’area industriale di Gela e favorire anche lo sviluppo di ulteriori imprese locali operanti nel settore dell’energia». In pratica la conferma che non verranno convalidati gli attuali livelli occupazionali e la temuta dismissione degli impianti. Nello specifico poi il Programma di Sviluppo Eni si sviluppa in 4 aree di intervento. Per prima la Green Refinery, il cui avvio è previsto nel terzo trimestre 2015 per procedere a regime nel 2017. Urrà, potrebbe gridare chi ha a cuore l’ambiente e l’idea di un’industria sostenibile. Peccato che la Green Refinery di Porto Marghera, primo esempio al mondo di bioraffineria, venga definita sul sito dell’Eni un case study. Non a caso l’Eni non si sbilancia ed omette di indicare cifre di investimento sul sito gelese. Inoltre «all’attività della Green Refinery sarà associato un moderno polo logistico per la spedizione dei greggi di produzione locale e dei prodotti green». Quindi il petrolio gelese verrà lavorato altrove, come già paventato durante le proteste di luglio. E ancora «viene confermata la fermata definitiva delle linee tradizionali per il parziale riutilizzo di relativi asset».

Al punto 2 troviamo l’upstream, ovvero «l’avvio di nuove attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sul territorio della Regione Siciliana e nell’offshore ad esso adiacente». In una parola: trivellazioni. Qui l’Eni conferma che è questo il settore strategico del nuovo piano industriale. Basta notare la portata degli investimenti: ben 1 miliardo e 800 milioni, i 4/5 del totale. E ci punta talmente tanto da provare ad imporre che «la Regione Siciliana pertanto si impegna a dare piena e immediata attuazione agli impegni assunti nel protocollo Assomineraria». Cioè si intima al governo Crocetta di non fare dietrofront rispetto agli accordi firmati a giugno, quando venne concesso ai petrolieri di trivellare il Canale di Sicilia. Così come contestato dagli ambientalisti, Greenpeace in primis. Il punto 3 è la nota dolente da sempre della Raffineria di Gela, quel risanamento ambientale che qui viene promesso ma rinviato con un accordo ad hoc da firmare successivamente.

L’ultimo punto del Programma di Sviluppo Eni è ancora più vago. Si promette «la realizzazione nel territorio gelese di centri di competenza focalizzati in materia di safety (sicurezza) e drilling (perforazione)». Ne’ dati né numeri in merito alla ricollocazione di unità del personale attualmente impiegato dalla Raffineria di Gela. In ultima analisi viene presentato come “nuovo” piano industriale ciò che è attinente ad accordi precedenti (il protocollo Assomineraria) o opere di bonifiche già previste per legge. Argomento, quest’ultimo, che sarà oggetto d’analisi del prossimo pezzo.

Andrea Turco

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