Superstizione e sfruttamento. Sono le due parole attorno a cui si è sviluppata l’indagine della Dda di Catania che ha portato, con la collaborazione della Squadra mobile di Ragusa, Brescia e Monza, all’arresto di quattro persone di origine nigeriana. Al centro dell’inchiesta c’è la tratta di essere umani, finalizzata alla prostituzione anche di minori, tra Nigeria e Italia. Tutto è iniziato dai racconti di una giovane ragazza che, sbarcata a Pozzallo e affidata a un centro per minori, ha raccontato al personale la propria storia.
Così come altre tre sue coetanee – due delle quali decedute durante il lungo viaggio – era stata oggetto di rito Ju-Ju, con cui in Nigeria una persona viene legata al proprio creditore dall’impegno di saldare ogni debito, pena pesanti ritorsioni e disgrazie. Arrivate in Italia con la promessa di un impiego, le ragazze venivano messe in strada, controllate da vicino e costrette a prostituirsi.
Al vertice dell’associazione criminale ci sarebbe stata una donna – D.O.M., le iniziali -, anche lei di origine nigeriana ma sposata con un italiano. Arrestati altri tre familiari, tutti nigeriani. Dal racconto della minorenne, che è riuscita a sottrarsi al gruppo, è emerso inoltre che il debito contratto tramite il rito ammontava a circa 30mila euro. Nel caso di un rifiuto a vendere il proprio corpo, in Nigeria sarebbe stato celebrato un rito per far sì che la ragazza avesse un ciclo mestruale ininterrotto, fino alla morte.
Nel corso delle indagini i protagonisti si sono anche chiesti quanto tempo ancora questo tipo di business criminale potesse stare in piedi: nel 2018, l’Oba dell’Edo State – il re Ewuare II – ha disposto la revoca di tutti i riti Ju-Ju usati per vincolare le vittime di tratta. Uno spauracchio per gli indagati in quanto avrebbe potuto determinare l’insubordinazione delle ragazze. La madre di D.O.M., dalla Nigeria, tuttavia avrebbe rassicurato la figlia, fornendo un’interpretazione per cui il provvedimento dell’Oba non sarebbe potuto essere consideato retroattivo.
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