I soldi mandati dal ministero per i minori stranieri non accompagnati necessari a mandare avanti le comunità dove risiedono anche gli italiani. È la realtà di un sistema – quello delle politiche sociali in Sicilia – che fa acqua da tutte le parti. Soprattutto sul fronte della gestione dei minori, dove alle difficoltà finanziaria si accompagnano regole non chiarissime dentro cui si nascondono degrado e malaffare.
Si parte da una fondamentale differenza: le spese per i minori italiani disagiati sono sostenute da Regione e Comuni, quelle per i minori migranti arrivano dal ministero dell’Interno tramite le prefetture. Cambia anche il valore dei contributi: nonostante spesso i minori siano accolti nelle medesime strutture, per un minore italiano una comunità percepisce un rimborso di circa 75 euro al giorno, per un minore straniero si parla di quasi 45 euro. Tra le note dolenti, i ritardi nei trasferimenti che nel caso della Regione arrivano anche a 24 mesi, mentre dal ministero le somme vengono versate trimestralmente (anche se si sono registrati arretrati anche di nove o dieci mensilità). Così finisce che, come ammette un lavoratore, «molte comunità vanno avanti soltanto grazie alle quote versate dal ministero per i giovani migranti». Quello dei minori stranieri è diventato un business, «in cui – denuncia Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana e vicepresidente della commissione Affari esteri – si sono buttati in molti senza averne le competenze. Paradossalmente – aggiunge – chi aveva una comunità per minori in Italia ha molte qualifiche in più, rispetto a chi si è improvvisato educatore, magari con un corso serale».
In Sicilia esistono 51 comunità che si occupano di ragazzi a rischio e che ricevono minori su segnalazione dell’autorità giudiziaria. In questo caso si tratta di convenzioni stipulate direttamente con la Regione, anche se le somme passano comunque dai Comuni che poi le girano alle strutture di accoglienza. Le comunità alloggio per minori – quelli che non hanno problemi con la giustizia – sono invece oltre duecento e in questo caso il rapporto è direttamente con le amministrazioni comunali. In ogni caso, la Regione non trasferisce per intero le somme ai Comuni: mette a disposizione un budget e ripartisce per ogni Comune una quota percentuale in base ai ricoveri che effettivamente ha affrontato. Una recente norma regionale prevede che i rimborsi possano arrivare fino a un massimo dell’80 per cento.
Comunità in attesa e Comuni al verde
«Il sistema di erogazione dei fondi ha comportato ritardi anche di due anni – racconta il rappresentante di una struttura del Palermitano -. Possiamo dire che oltre la metà delle comunità riescono a sopravvivere perché in Sicilia ci sono tantissimi minori stranieri non accompagnati». A queste strutture bisogna aggiungere quelle che accolgono ragazze madri, per le quali la Regione non riconosce alcun contributo. Insomma, la macchina è tutta sulle spalle dei Comuni, in molti casi alle prese con il dissesto finanziario. Può accadere così che un piccolo centro, nelle cui casse un minore grava per circa 30mila euro l’anno, si ritrovi a gestire anche due o tre ragazzi in una struttura istituzionalizzata, con una spesa complessiva che può incidere negli equilibri finanziari. Anche nelle grandi città si è cercato di ottimizzare gli inserimenti. A Palermo, ad esempio, si è passati da 700 a 400 ragazzi ospiti in strutture accreditate. «La Regione dovrebbe trovare i fondi e togliere ai Comuni il peso di questa gestione – osservano ancora dalla comunità -. Ci sono strutture che aspettano anche 500 o 600mila euro. Naturalmente fino a un certo punto le banche ti propongono dei prestiti, ma arriva il momento in cui nessuno ti dà più credito. I fondi dalle prefetture (quelli riservati ai minori migranti, ndr) arrivano invece con più celerità». Quello dei ritardi da parte della Regione e della difficoltà in cui incorrono i Comuni è uno scenario piuttosto diffuso, come sottolinea il vicepresidente dell’Anci Sicilia, Paolo Amenta: «Si tratta di un settore che andrebbe rivisto e riformato, perché in questo momento tantissime comunità, in assenza di liquidità, vanno avanti esponendosi finanziariamente, creando debiti».
Il caso Licata
Un esempio è Licata, centro dell’Agrigentino alle prese con i problemi legati al maltempo e con un bilancio che è difficile far quadrare. Qui, su un costo effettivo del servizio di accoglienza ai minori, sia italiani che stranieri, pari a 559mila euro, soltanto 59mila euro sono arrivati finora nelle casse comunali. Anche se parte dei fondi arriverà tramite la prefettura. I minori italiani ospitati sono in tutto 21: di questi, sei sono ospitati in strutture per ragazze madri, per le quali, come detto, non sono previsti contributi. Per i restanti 15, nel primo semestre 2016 il Comune ha affrontato una spesa di circa 130mila euro, dei quali poco meno del 50 per cento. Il resto dei fondi, nonostante le difficoltà in cui versano i Comuni, dovranno essere reperiti all’interno del bilancio comunale.
La gestione delle comunità per minori stranieri
«Il gap tra i fondi riconosciuti per l’accoglienza di minori italiani o di minori stranieri ha creato una differenza sostanziale, nonostante molto spesso i minori siano accolti in comunità miste», denunciano dall’associazione Borderline Sicilia, in prima linea nell’accoglienza migranti. «È sui fondi che vengono versati trimestralmente dal ministero – racconta ancora una volontaria dell’associazione – che le comunità si reggono, spesso ricorrendo a prassi poco professionali. Al fianco delle storiche comunità di accoglienza minori, preparate e che offrono servizi e professionalità ai loro ospiti, ne sono sorte tantissime, spesso gestite da gente che non si è mai occupata di minori. Il modello è stato improntato sull’emergenza a scapito della qualità».
Secondo Borderline Sicilia, «ad abbassare ulteriormente i livelli di qualità offerta, purtroppo, c’è anche l’assenza di controlli puntuali. Abbiamo presentato diverse denunce penali in situazioni in cui abbiamo verificato l’esistenza di comunità dislocate fuori da ogni contesto sociale, senza figure professionali che invece dovrebbero essere garantite, con condizioni di accoglienza indecenti, dal cibo, all’igiene, fino all’abbigliamento o alle scarpe. Senza contare i tempi biblici per la nomina di un tutore, per cui i ragazzi finiscono in una sorta di limbo ad aspettare non si sa bene cosa. In questo contesto assolutamente approssimativo, ecco registrare un numero spaventoso di minori scomparsi nel nulla. Ma quel nulla ha un nome: sono le reti di sfruttamento, la prostituzione, i campi in cui questi ragazzi lavorano per pochi spiccioli, lo spaccio. In questo modo stiamo ipotecando il futuro a un’intera generazione di cittadini che, piaccia o no, sono gli europei di domani».
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