Milk, ovvero della speranza

Da sempre vicino a tematiche spigolose e al cinema di cronaca, il regista americano Gus Van Sant torna a trattare il tema dell’omosessualità nel suo film Milk, raccontando con stile documentaristico la vita di Harvey Milk, il primo gay dichiarato ad essere eletto ad una carica politica negli Stati Uniti. Negli USA degli anni ’70, in cui era considerato normale picchiare gli omosessuali, ghettizzarli, giudicarli anormali e non degni dei diritti sanciti dalla costituzione americana, Milk è riuscito a dare vita a un movimento che ha cambiato la vita di generazioni di gay, regista e sceneggiatore (Dustin Lance Black) del film compresi. Il suo esempio ha fatto trovare a Van Sant il coraggio di fare coming out, dichiarando la propria omosessualità e a Black di viverla con serenità, come lui stesso ha dichiarato durante la premiazione dell’Oscar ricevuto per la migliore sceneggiatura originale.

Ispirato al documentario di Rob Epstein The Times of Harvey Milk, l’opera di Van Sant ripercorre con stile quasi documentaristico gli ultimi 8 anni della vita dell’attivista americano. Prima dei quarant’anni Milk vive a New York nascondendo il suo orientamento sessuale, fin quando incontra Scott e decide di trasferirsi con lui a San Francisco nella speranza di vivere apertamente la loro relazione. Qui, nel quartiere Castro, apre un negozio di fotografia, “Castro Camera”, e finisce con il diventare un militante politico che si batte per i diritti degli omosessuali. Parte dal quartiere e conquista l’intera nazione, riuscendo a far abrogare la Proposition 6, legge che avrebbe permesso di licenziare gli insegnanti sulla base dei loro orientamenti sessuali, sponsorizzata dal senatore John Briggs e dalla cantante Anita Bryant, nota per le sue campagne contro gli omosessuali e i loro diritti. Alla morte di Milk, per mano del consigliere conservatore Dan White, trentamila persone marceranno da Castro al Municipio in una veglia pacifica che dal Settantotto sostiene la sua battaglia e le sue speranze.

Il film riesce a raccontare la sua vita senza cadere nell’individualismo tipico delle storie sugli eroi, mostrandolo come rappresentante dell’intero movimento gay, come uomo che dà all’azione politica quel potere e valore sociale che dovrebbero avere per cambiare in meglio la condizione dei cittadini, e lo fa attraverso un principio guida: quello di dare speranza, speranza di dignità, libertà e uguaglianza.

Il carisma umano e politico di Milk è mostrato senza esagerazioni e retorica, attraverso una regia sobria e asciutta che usa e mescola il flashback, il found footage e le immagini volutamente sgranate in super 8, riuscendo a dare un aspetto storico ed autentico alla pellicola.

Ne risulta un film intenso, ma mai pesante nonostante l’argomento, antiretorico e volutamente vintage: si apre con immagini di repertorio, che mostrano la violenza della polizia nei confronti degli omosessuali, con irruzioni nei gay bar e arresti, seguite dall’annuncio di Dianne Feinstein, il Presidente del Consiglio comunale di allora, che informa la stampa dell’assassinio del consigliere Harvey Milk e del sindaco George Moscone.

Il racconto va indietro e comincia il 18 novembre 1978, nove giorni prima degli omicidi: Milk, intento a registrare su audiocassetta il suo testamento ideologico e sociale, diventa la voce narrante.

A rafforza l’aspetto vintage del film è l’ottimo lavoro del direttore della fotografia Harris Savides, assiduo collaboratore di Van Sant e non nuovo alle ricostruzioni delle ambientazioni anni settanta, in film come Zodiac e American Gangster.

Indimenticabile l’interpretazione di Sean Penn nel ruolo del protagonista. Dopo quattro prove da regista, Penn torna davanti la macchina da presa cimentandosi per la prima volta con un personaggio omosessuale, meritandosi l’Oscar. Perfetto nelle espressione e nei gesti, è credibile nelle scene di baci ed effusioni con il collega James Franco. Il copione, però, non perde mai di vista la strada politica intrapresa da Milk per indugiare su scene di sesso.

Il lungometraggio, girato completamente a San Francisco, porta lo spettatore a Castro, il quartiere punto di riferimento per la comunità gay, dove il piccolo negozio di fotografia diventa il ritrovo del gruppo di Milk, soprannominato dalla comunità “Sindaco di Castro Street”. Uscito dal quartiere – e dal cinema – lo spettatore porta a casa il piacere che suscita un bel film e l’insegnamento di Harvey Milk: Senza la speranza la vita non vale la pena di essere vissuta.

Agata Pasqualino

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