Il primo un ex infermiere ed ex consigliere comunale. Il secondo un imprenditore capace di mettere le mani per almeno tre lustri sugli appalti nel settore dell’assistenza, arrivando anche fuori dalla Sicilia. Uno è già condannato in appello a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa, l’altro è indiziato dello stesso reato dalla Dda di Messina. Questi, in sintesi, i due volti di Santino Napoli e Giuseppe Busacca, rispettivamente 71enne e 64enne di Milazzo, destinatari ieri di un maxi-sequestro di beni per circa cento milioni di euro. Ricchezze che, secondo il tribunale, sarebbero state accumulate sfruttando, in particolar modo nel caso di Napoli, grazie a rapporti oltremodo equivoci con i boss della mafia barcellonese. Per entrambi, i magistrati hanno chiesto la sorveglianza speciale come misura per contrastare la presunta pericolosità sociale e la proposta sarà esaminata dai giudici a marzo dell’anno prossimo.
La storia di Napoli, ripercorsa nelle quasi duecento pagine di decreto, affonda le radici negli anni Novanta. Secondo molti collaboratori di giustizia, il 71enne – che è stato consigliere a Milazzo ininterrottamente dal 1993 al 2015 – sarebbe stato un punto di riferimento per il clan già da quel decennio. La sentenza di condanna, invece, ha ristretto l’arco temporale a un periodo più breve e fino al giugno 2011. Per la Dda, tuttavia, la vicinanza di Napoli alla mafia sarebbe stata così definita da sconfinare quasi nell’appartenenza. «L’apporto fornito dal Napoli all’associazione mafiosa dei barcellonesi – si legge nel decreto – pur qualificato nel giudizio di merito ai sensi degli articoli 110 e 416 bis c.p. (concorso esterno, ndr), assume in concreto connotati che lo approssimano notevolmente a una ipotesi di partecipazione».
A suffragio di questa tesi vengono riportati i racconti di numerosi collaboratori. Per Salvatore Centorrino, l’ex infermiere era «la faccia pulita del clan per l’attività di apertura di discoteche e cose varie». Napoli, infatti, oltre a essere un dipendente dell’Asl 5 di Messina, avrebbe avuto un ruolo anche nella gestione di locali sulla costa tirrenica, usufruendo anche della protezione del clan. Un servizio garantito senza bisogno di pagare il pizzo e questo perché, stando alle risultanze del processo che ancora deve arrivare a sentenza definitiva, l’uomo avrebbe saputo come ricambiare le cortesie. A Napoli i magistrati hanno contestato, nel corso del tempo, una serie di impegni nei confronti dei boss: da politico avrebbe indicato le ditte aggiudicatarie dei lavori a Milazzo per suggerire a chi imporre le estorsioni ma avrebbe anche fatto da mediatore tra le vittime e i mafiosi; da infermiere, invece, avrebbe garantito agli uomini del clan certificazioni compiacenti. Il collaboratore Nunziato Siracusa ha raccontato che per ripagare la disponibilità di Napoli, la cosca avrebbe stipendiato Napoli con due milioni di lire al mese e tanto di tredicesima a Natale.
«Siracusa riferiva poi che Napoli, nel periodo compreso tra il 1996 e il 1999, aveva chiesto e ottenuto il sostegno dell’associazione mafiosa alla sua candidatura quale consigliere provinciale o regionale, ricevendo la fattiva collaborazione dei maggiorenti del sodalizio mafioso», si legge nel decreto. Per altri collaboratori, Napoli sarebbe arrivato al punto di suggerire di collocare una bottiglia contenente liquido infiammabile nel cantiere di un’impresa che stava realizzando case popolari, ma anche di chiedere agli uomini della cosca di compiere un pestaggio ai danni di un fioraio. Nel decreto vengono ripercorsi anche i molteplici contatti tra Napoli e Salvatore Rinzivillo, il boss dell’omonimo clan gelese con cui il consigliere comunale avrebbe avuto un rapporto talmente stretto, da chiedere ai barcellonesi una tariffa light per il pizzo da imporre a una ditta ritenuta vicina proprio al gelese.
Per quanto concerne la figura di Giuseppe Busacca, i magistrati, oltre a rimarcare i legami con Napoli, ne hanno sottolineato il coinvolgimento nella «gestione dei locali di intrattenimento di Milazzo». Del 64enne nativo di Ficarra vengono soprattutto ripercorse le attività nel settore dell’assistenza: dai servizi agli asili nido alle residenze per gli anziani e ai servizi rivolti ai disabili, passando per il mondo della formazione. Attività che, in diversi casi, sarebbero state portate avanti tramite cooperativa soltanto di fatto. Uno schema che avrebbe consentito all’uomo di accumulare capitali, vincendo gare anche con il cento per cento di ribasso grazie al presupposto che una onlus, per sua natura, è un soggetto non a scopo di lucro. I casi curiosi non sarebbero mancati: una coop, che come oggetto sociale ha principalmente i servizi di pulizia, stando alla ricostruzione degli inquirenti, nel corso degli anni avrebbe da un lato gestito i parcheggi per conto del Comune di Milazzo ma anche svolto corsi di formazione all’interno di una discoteca.
I magistrati messinesi sospettano anche che Busacca abbia portato all’estero somme di denaro. Nello specifico, in Romania. Sono due i conti correnti su cui gli inquirenti hanno posato gli occhi e il decreto di sequestro mira anche al congelamento di queste risorse economiche. Agli atti d’indagine c’è un’intercettazione tra due persone ritenute vicine a Busacca in cui uno riferisce all’altro di voci secondo cui l’imprenditore «ha investito cinquanta milioni di euro in Romania». Davanti alle perplessità espresse dall’interlocutore per l’importanza della cifra, lo stesso commenta: «Ma chinni sai chistu con la formazione quanti soldi si è messo in tasca».
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