Milano-Catania: il viaggio della dedica di De Roberto Per chi era la copia autografa trovata sulla bancarella

Alla signora Giuseppina Biraghi
rispettoso omaggio di
F. de Roberto

Milano, 1° agosto 98

Così si legge nella dedica autografa dell’autore dei Vicerè posta sul frontespizio d’una copia di Spasimo, romanzo pubblicato quell’anno e tutt’oggi poco letto, nonostante sia uno dei primissimi gialli della narrativa italiana. E quella copia autografata, sepolta tra mucchi di vecchi libri d’una bancarella romana, è finita tra le mani dell’editore-scrittore catanese Salvatore La Porta, che ne fa mostra con legittimo orgoglio sulla sua pagina Facebook. Ovvio che scatti la curiosità, in chi ha dedicato anni allo studio dell’opera e della vita di Federico De Roberto: chi era Giuseppina Biraghi? Una delle signore milanesi, abbienti e maritate, che lo scrittore corteggiò (e sovente conquistò) in quel febbrile ultimo decennio dell’Ottocento, fecondissimo di scrittura e di successi mondani?

E qui interviene Google che, con l’intento di soccorrerti, rischia invece di depistarti. L’unica Giuseppina Biraghi di cui si trovi un’esigua traccia è infatti la nonna di Natalia Ginzburg, nonché madre di Drusilla (la famosa Mosca) che sposò Eugenio Montale. Un’illustre progenie letteraria, cui sarebbe bello associare il nostro De Roberto! Ma una più accurata ricerca s’impone: e questa volta nei copiosi carteggi dei corrispondenti dello scrittore, conservati nella Biblioteca regionale e, in copia, alla Fondazione Verga.

Ed è proprio lì che salta fuori una lettera di Giuseppina Biraghi, datata 28 settembre ’98 (il mese successivo al dono del libro). Anzi non una, ma due: la busta contiene infatti due missive, la seconda delle quali è firmata da un Concettino che si qualifica nipote di Federico. Costui lamenta di non essere stato ricevuto, nonostante la lettera di presentazione dello zio Federico, da Ximenes (trattasi di Eduardo Ximenes, che illustrò Eva di Verga, o del fratello Enrico Emilio, critico letterario: entrambi palermitani e ben introdotti negli ambienti dell’editoria e del giornalismo nazionali), che avrebbe dovuto favorire le ambizioni letterarie di Concettino.

Ma chi è Concettino? Facile a dirsi: è Concetto Pettinato (Catania 1886-Este 1975), futuro grande giornalista, leggendario inviato della Stampa, fascista inquieto e recalcitrante, e che allora aveva solo dodici anni e già coltivava sogni letterari sulla scìa del famoso zio! Era a Milano dalla nonna (ecco finalmente chi è Giuseppina Biraghi), la quale nella lettera d’accompagnamento racchiusa nella stessa busta ringrazia De Roberto con toni ossequiosi, tali da far escludere una parentela diretta, per il dono dei Vicerè (non di Spasimo: glieli avrà donati insieme?) e promette di leggere il romanzo.

Il giovane Pettinato farà parte di quella ristretta e assidua cerchia di ammiratori (Guglielmino, Villaroel, De Mattei, Centorbi) che allieteranno in parte, col loro fervore di adepti, la triste vecchiaia di De Roberto, esiliato (e dimenticato) a Catania al capezzale della madre oppressiva e possessiva. Poi Concettino spiccherà il volo verso una maturità da intellettuale cosmopolita nelle grandi capitali europee, patirà sia scomuniche fasciste che galere antifasciste, e finalmente nel 1959 rievocherà quegli ambienti e quegli incontri in un bel libro autobiografico, Rosso di sera, che sarebbe proprio il caso di ripubblicare.

Antonio Di Grado

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