Finirà in tribunale la vicenda di una cinquantina di siriani derubati, questa è l’accusa, dagli stessi militari che li avevano salvati nel Canale di Sicilia, nel 2013, nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum. A disporlo giovedì scorso, il gup Stanislao Saeli del Tribunale militare di Napoli, che ha fissato l’udienza per il dibattimento per il 29 settembre, accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio del pm Marina Mazzella per 8 militari della Marina militare italiana. I fatti risalgono all’ottobre di due anni fa quando un gruppo di migranti siriani, alla deriva in acque internazionali, fu tratto in salvo dalla nave Chimera della Marina.
A bordo, gli uomini in servizio alla brigata Marina S. Marco II reggimento di Brindisi. Nella notte, però, i migranti sarebbero stati privati di oggetti di valore. Durante le operazioni di identificazione, secondo i siriani, i militari si sarebbero fatti consegnare denaro per un valore di 34 mila 850 euro e 26 mila 354 dollari americani e gioielli tra fedi nuziali, ciondoli e collane. I siriani, appena sbarcati, hanno invano chiesto la restituzione delle loro cose. Poi, hanno presentato una denuncia alla Questura di Agrigento, sulla base della quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento e quella presso il Tribunale militare di Napoli hanno avviato le indagini. Successivamente, una parte di loro è stata ospitata in un centro di accoglienza a Geraci Siculo dove su richiesta del sindaco, Bartolo Vienna, l’avvocato Guido Bellanca, ha assistito gratuitamente i profughi.
Le indagini si sono concluse ad aprile di quest’anno, con la richiesta di rinvio a giudizio per i militari da parte del pm della Procura militare di Napoli. «Secondo la ricostruzione del pubblico ministero – racconta a MeridioNews l’avvocato Bellanca – nella notte tra il 25 e il 26 ottobre di due anni fa, avrebbe avuto un ruolo chiave un sottufficiale del reparto. L’uomo, secondo i siriani, non si sarebbe attenuto al protocollo adottato in questi casi, e avrebbe ordinato ai propri uomini di ritirare denaro e oggetti di valore durante le operazioni di controllo».
Al termine delle operazioni il denaro e gli oggetti sarebbero stati inseriti «in buste prive di segni di riconoscimento, non sigillate, senza redigere un verbale». A giudizio il sottufficiale del reparto, che risponde di peculato militare pluriaggravato e mancata consegna, e altri 7 militari, imputati solo di mancata consegna.
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