Si era opposto al suo trattenimento all’Hotspot di Trapani e il giudice di pace gli aveva dato ragione. Ma quando il suo avvocato si è recato nei locali dell’ex Cie per comunicargli l’esito favorevole del ricorso, ha scoperto che il suo assistito era già stato rimpatriato. Protagonista della vicenda il tunisino Ben Salem Sofiem, di 30 anni, originario di Mahdia.
In Italia da diversi anni, munito di passaporto e con un regolare rapporto di lavoro subordinato fino al prossimo mese di dicembre, il nordafricano – che assieme ad uno zio ed un cugino viveva a Vittoria dove lavorava come bracciante nell’azienda agricola Giacomo Campoccia – si è presentato al locale commissariato verso la fine di settembre per eseguire i rilievi dattiloscopici utili al rinnovo del suo permesso di soggiorno. Qui il colpo di scena: il giovane, infatti, è stato fermato e trasferito all’hotspot di Trapani, con richiesta di trattenimento avanzata dal questore di Ragusa. Il permesso di soggiorno, infatti, risultava scaduto dal 2013. Ma nonostante il 30enne avesse tutti i requisiti per richiederlo – tra cui il contratto, che si può siglare anche presentando la ricevuta rilasciata dalla Questura quando si avvia la pratica per il rinnovo del permesso – è stato fermato.
Lo scorso 4 ottobre, il trattenimento era stato convalidato dal giudice di pace della città falcata. Ben Salem Sofiem, assistito dall’avvocato Peppe Novara, ha presentato istanza di Riesame che al termine dell’udienza del 12 novembre è stata accolta. Due giorni prima, però, il tunisino era stato rimpatriato e cioè prima dell’ultimo pronunciamento che gli è stato favorevole. Ieri mattina il legale si è recato all’hotspot di contrada Milo per le procedure di rilascio del giovane nordafricano, scoprendo così che il trentenne era stato rimpatriato lo scorso 10 di novembre, due giorni prima dell’udienza.
«Il mio assistito – dice il legale – non poteva essere rimpatriato in pendenza di un procedimento giurisdizionale. La vicenda ha dell’incredibile. Per ore sono rimasto in attesa di notizie. Adesso, dopo aver contattato i familiari, il primo passo sarà quello di far rientrare il giovane in Italia non escludendo la possibilità di un ricorso alla Corte di Giustizia Europea per violazione dei diritti fondamentali».
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