Cronaca

Migranti, quei Cie e hotspot che ricordano i lager Tra sporcizia, freddo e la privazione della dignità

Sporcizia, freddo, assenza di spazi di condivisione, promiscuità e privazione dei diritti. La prima relazione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sulle condizioni dei centri di identificazione ed espulsione (Cie) e degli hotspot fornisce una fotografia impietosa dello stato in cui versano le principali strutture di prima accoglienza dei migranti. Delle nove ispezionate tra gennaio 2016 e aprile di quest’anno, cinque sono ospitate in Sicilia: il Cie – nel frattempo ridenominato in Centro permanente per il rimpatrio – di Caltanissetta e gli hotspot di Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Siculiana.

La commissione, presieduta dal professore Mauro Palma, ha rilevato una serie di criticità comuni a tutti i Cie. A partire dalle condizioni igieniche che sono «nella maggior parte dei casi carenti e bisognose di interventi urgenti di risanamento, ristrutturazione e manutenzione». I migranti, giunti in Italia, finiscono per attendere di sapere che ne sarà della loro speranza di rimanere in Europa vivendo in luoghi dove i beni di prima necessità scarseggiano. «Siano eseguiti con urgenza tutti i necessari interventi per accrescere gli standard di vivibilità», si legge nel documento. Un altro aspetto comune agli ex centri di identificazione ed espulsione è la condizione di promiscuità tra i trattenuti «senza che vi sia alcuna considerazione delle differenti situazioni giuridiche» tra soggetti con precedenti penali, altri con irregolarità in merito al permesso di soggiorno e richiedenti asilo. Criticata anche l’esigua offerta in termini di mediazione culturale – pochi spazi per pregare e carenze nel personale che dovrebbe garantire la trasmissione corretta delle informazioni ai cittadini stranieri – ma anche l’incapacità di tenere un monitoraggio costante degli eventi critici che si registrano ogni giorno nelle strutture.

Nello specifico l’ispezione nel Cie di Caltanissetta, avvenuta il 16 gennaio scorso, ha portato alla constatazione del degrado di uno degli immobili in cui vivono i migranti. «I locali di pernottamento con i letti in muratura, i materassi in gommapiuma e gli effetti letterecci – scrive la commissione – appaiono angusti, caratterizzati da scarsa areazione e illuminazione naturale. Sebbene il riscaldamento risulti in funzione, fa piuttosto freddo. Anche lo stato dei locali destinati ai servizi igienici è apparso in condizioni critiche per l’intensa usura». Nella struttura nissena, ai migranti viene dato un kit composto da pigiama, biancheria intima, una tuta e qualche altro effetto personale compresa la prima fornitura di prodotti per l’igiene e poi tre schede telefoniche da cinque euro, che verranno rimpiazzate da un’altra dello stesso valore ogni dieci giorni.

Per quanto riguarda gli hotspot, il Garante sottolinea che nonostante la normativa preveda la possibilità di uscire dalla struttura dopo essere stati foto-segnalati ciò non avviene in nessun posto. Trasformando di fatto il sito in un carcere. Critiche, inoltre, ai tempi per espletare le procedure – ben lontane dalle 48 ore previste e con casi in cui la permanenza è stata addirittura di un mese – e alla difficoltà per associazioni e stampa di accedere all’interno. La qualità della vita negli hotspot, secondo la commissione, sarebbe da rivedere profondamente a partire dalla consapevolezza che bisogna «garantire ai migranti appena sbarcati condizioni essenziali di dignità personale (fornitura di un cambio pulito, calzature, coperte per scaldarsi in caso di condizioni meteo avverse) e di soddisfazione di bisogni primari, quali la possibilità di lavarsi e rifocillarsi» prima di procedere all’identificazione. 

A sintetizzare il degrado è la doppia ispezione a Lampedusa, effettuata dalla commissione a distanza di mesi. «Gli unici ambienti comuni sono delle pensiline di cemento con delle panche, anch’esse di cemento, dove i migranti appena giunti attendono di essere identificati e fotosegnalati – raccontano i membri dell’organismo -. Questo avviene in ogni stagione, con la pioggia o con il sole. Mancano invece altri locali comuni dove passare il tempo, dove mangiare (non c’è la mensa e il cibo, cucinato sul posto, viene confezionato in piatti chiusi con il cellophane e distribuito alle persone che mangiano dove possono, sul letto oppure fuori). Non c’è una lavanderia – continua il racconto -. Agli ospiti viene dato del detersivo per lavare i loro vestiti nei lavandini (piccoli) dei bagni. Non c’è un cortile, ma solo lo spazio che intercorre tra le due file di edifici in cui sono posti i dormitori e gli uffici». 

La serie di carenze riguarda anche gli spazi dove trascorrere la notte. «I dormitori sono composti da stanze da 12 letti, ma in alcune stanze i letti sono a castello e quindi diventano da 24, o addirittura, se necessario, da 36 se viene estratto il materassino che si trova sotto il letto più basso. I locali per dormire sono dei cameroni con i letti uno a fianco all’altro, privi di qualsiasi punto d’appoggio». Per renderli meno deprimenti le donne e le ragazze «hanno appeso sui muri le coperte isotermiche a forma di grande fiocco. E questa – ammette la commissione – è l’unica nota di colore nel bianco sporco dei muri e nel grigio del cemento». Non certo migliori sono i servizi igienici: «I bagni per le donne hanno tre docce e tre water alla turca e dei lavandini di metallo».

Ma se le strutture sono invivibili, critiche sono anche le modalità con le quali si procede all’identificazione: «Il Garante ritiene inaccettabili scene in cui gli stranieri, tra i quali un gruppo di minori non accompagnati, sostavano in fila all’addiaccio sotto la pioggia, scalzi, in attesa di essere fotosegnalati». Mentre in altri casi, emergerebbero anche procedure ai limiti della regolarità. «I migranti – rivela la commissione in merito ai colloqui con le autorità – si sono trovati ad apporre la propria sottoscrizione su un foglio completamente bianco senza averne preventivamente proceduto alla compilazione e avere alcuna garanzia che quanto dichiarato venisse effettivamente compreso e riportato agli atti come era loro intendimento esprimere». 

Gabriele Ruggieri

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