Gli indizi finora raccolti non sono «seri» a sufficienza, ma ciò non vuol dire che non potrebbero diventarlo. È questa in sintesi la posizione della procura di Catania in merito alla vicenda che ha coinvolto l’ong Proactiva Open Arms, la cui nave è stata sequestrata due settimane fa con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. L’ipotesi di reato è in parte decaduta quando il gip Nunzio Sarpietro, convalidando la misura preventiva, ha chiarito che allo stato attuale esistono elementi a sostegno solo dell’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione, in merito a ciò che è accaduto il 16 marzo, quando la nave ha deciso di portare i migranti a Pozzallo senza sondare un’eventuale disponibilità delle autorità maltesi. «Non si rilevano adeguati elementi probatori in merito alla sussistenza del reato di associazione per delinquere», si legge nel dispositivo con cui il giudice ha dichiarato l’incompetenza territoriale.
Chi però pensava che, d’ora in poi, a occuparsi dei fatti incriminati sarebbe stata esclusivamente la procura di Ragusa è rimasto sorpreso nello scoprire che il pm Fabio Regolo, già il giorno dopo il pronunciamento del gip, ha formalizzato un invito a presentarsi giovedì prossimo in procura per due dei tre indagati: la capa missione Ana Isabel Montes Mier e il comandante Marc Reig Creus. Ma come è possibile che i magistrati guidati dal procuratore Carmelo Zuccaro – finito l’anno scorso al centro delle polemiche per le esternazioni riguardanti i dubbi sulle ong – non rispettino le disposizioni del gip? La risposta starebbe nella separazione dell’inchiesta in due tronconi: il primo, riguardante l’episodio del 16 marzo, va a Ragusa, con il fascicolo nelle mani del procuratore capo Fabio D’Anna e del pm Santo Fornasier, mentre i colleghi etnei continuerebbero a indagare sull’ipotesi dell’associazione a delinquere. Reato per il quale la competenza è della procura distrettuale.
Lo scenario trova conferma in ambienti vicini a entrambe le procure e poggerebbe su un passaggio del decreto di convalida del sequestro. Quello in cui il gip dichiara che «per quanto attiene ai sospetti a proposito dei salvataggi effettuati dalla Open Arms in totale autonomia, non è dato conoscere i particolari degli accadimenti, che meritano certamente ulteriori approfondimenti». Gli interventi a cui Sarpietro fa riferimento riguardano fatti accaduti tra 2016 e 2017, quando l’ong aveva a disposizione tre navi. Oltre all’Open Arms, anche la Golfo Azzurro e l’Astral, entrambe poi ritirate. A indagare su di essi sono stati già gli uomini dello Sco della polizia e dello Scico della guardia di finanza, senza però recuperare elementi in grado di affermare che l’ong abbia pianificato un’attività delinquenziale.
I sospetti degli investigatori avrebbero peraltro a che fare, per buona parte, con azioni compiute in periodi precedenti alla firma del codice di condotta voluto da Minniti, per regolamentare le attività delle ong nel Mediterraneo e aprire alla discussa cooperazione con i libici. Questione questa che ha spinto il giudice a non prendere in considerazione il reato di associazione a delinquere, nonostante, secondo Sarpietro, sia possibile immaginare che l’operato di Proactiva sia stato caratterizzato dalla «costante ricerca di obiettivi da soccorrere autonomamente, evitando l’intervento delle autorità marittime italiane e libiche, e denotando una sostanziale volontà di non sottostare ad alcuna regola».
Tali valutazioni però riguardano il modo di intendere i soccorsi in mare da parte delle ong. L’anteporre le esigenze di portare in luoghi sicuri i migranti alle questioni politiche e agli interessi dei singoli governi. Di ciò sono convinti i legali degli indagati, gli avvocati Alessandro Gamberini e Rosa Emanuela Lo Faro. «Non abbiamo intenzione di presentarci agli interrogatori – ha ribadito ieri sera Gamberini -. La procura di Catania se volesse proseguire a indagare sull’associazione a delinquere, accusa che trovo infamante, dovrebbe aprire un nuovo fascicolo, dato che su quello già esistente il gip ha dichiarato la propria incompetenza». Scelta che invece i magistrati etnei non hanno fatto. «L’invito per l’interrogatorio porta il numero del fascicolo già esaminato, non capiamo i motivi di questo incaponimento», conclude Gamberini. La normativa prevede la possibilità per il magistrato di disporre l’accompagnamento coattivo, qualora la mancata presentazione all’interrogatorio non sia scaturita da un legittimo impedimento.
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