Migranti, nave Mediterranea approda al porto di Palermo  «Non è una questione di destra o sinistra, ma di umanità»

«Chi parla spesso di migranti e di migrazioni non ha mai visto una persona in mare. Non ha mai visto una persona che sta per affogare. Non ha mai visto gli occhi colmi di speranza per chi tende loro la mano. Chi ci governa questa sensazione non la conosce. Eppure tendere la mano a chi sta per annegare è un gesto spontaneo, quasi meccanico». Le parole di Giorgia Linardi sono precise, affilate. Semplici, eppure quasi sovversive in un’epoca in cui l’Italia chiude i porti per impedire l’arrivo di nuove persone. L’attivista della organizzazione non governativa tedesca Sea Watch le pronuncia a bordo della Mare Jonio, l’imbarcazione che dal 04 ottobre ha solcato il Mediterraneo centrale per svolgere attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della condizione in cui si trovano i migranti che in assenza di soccorsi tentano di raggiungere le coste italiane dalla Libia. Il mare che separa la Sicilia dall’Africa è infatti, dopo la vicenda del blocco della nave Diciotti a Catania, «un deserto, senza più possibilità di soccorsi non militari; è stata cancellata la presenza di tutti, e così nel Mediterraneo si continua a morire senza che nessuno possa più accertarlo». 

Ad affermarlo è il deputato di Sinistra Italiana Erasmo Palazzotto, che nei dodici giorni di navigazione del progetto Mediterranea ha dato il proprio apporto come volontario. «Siamo una sfida ai governi europei – afferma Palazzotto dal molo trapezoidale del porto di Palermo – perché li sfidiamo ad applicare il diritto del mare e le leggi internazionali. Le vite alla deriva di chi vuole arrivare in Europa sono diventare una questione burocratica. Voglio specificare che Mediterranea non è una ong ma una sfida della società civile, per trasformare l’indignazione in azione. Staremo qui qualche giorno, per fare rifornimento e consentire un cambio dell’equipaggio. Il nostro scopo è di riumanizzare la politica». 

Un’azione, quella di Mediterranea, che è stata resa possibile da un prestito di 465mila euro di Banca Etica e da un’azione di crowdfunding che al momento ha raccolto oltre 157mila euro (sui 700mila necessari). E che, a detta di Alessandra Sciurba della Clinica Legale per i Diritti Umani, è un’iniziativa che pone una questione «né di destra né di sinistra, ma di umanità. Non ci riferiamo a nessuno in particolare, non ce l’abbiamo nello specifico col ministro Salvini o con il governo attuale, ma vogliamo spingere a ripensare le politiche di accoglienza. O i diritti sono di tutti o non lo sono di nessuno». Negli scorsi giorni ci sono state critiche sull’opportunità politica del progetto e sulla presunta improvvisazione dell’equipaggio che, in caso di necessità, avrebbe dovuto e vorrebbe garantire un primo soccorso ad eventuali migranti in mare. La Mare Jonio ha infatti una copertura al centro dell’imbarcazione (per garantire un primo rifugio all’ombra), una struttura di primo intervento medico e una serie di giubbotti salvagenti.

«L’immagina scalcagnata di Mediterranea non corrisponde al vero – dice Luca Casarini, l’ex attivista no global che ha fatto parte dell’equipaggio della Mare Jonio – A bordo ci sono persone preparate e medici che hanno operato in zone di guerra: Inoltre abbiamo potuto appurare che la marina italiana e la guardia costiera non sono un muro di gomma». Ad accusare il progetto di approssimazione è stato nei giorni scorsi anche Matteo Villa, esperto di migrazioni per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) e autore di frequenti report sui flussi migratori nel Mediterraneo centrale. Come riportato da Il Post, Villa ha definito la Mare Jonio – una nave lunga 37 metri e larga nove metri che può tenere a bordo un centinaio di persone – «un vecchio rimorchiatore». Insieme a Mare Jonio d’altra parte sono salpate due altre imbarcazioni di appoggio con a bordo attivisti e giornalisti: una delle due è la nave Astral dell’ong spagnola Open Arms, che ha fornito sostegno tecnico alla missione. Le critiche di Villa vengono però respinte a MeridioNews da Giorgia Linardi. 

«Mi sorprende che una figura competente come Villa abbia espresso questi giudizi senza verificare di persona cosa sia effettivamente Mediterranea – dice l’attivista di Sea Watch – Bisogna capire ad esempio che un rimorchiatore è un’imbarcazione robusta che ha una buona tenuta, specie per i mari agitati d’inverno. In ogni caso non abbiamo la pretesa di essere la migliore nave possibile, e certamente la Mare Jonio non è l’imbarcazione più indicata per effettuare soccorsi in mare, ma lo scopo è quello di incentivare le autorità ad agire. Anche perché, citando proprio i dati diffusi da Villa, da una parte gli arrivi di migranti sono in diminuzione dell’80 per cento rispetto all’anno scorso. Ma dall’altra il rapporto tra arrivi in Sicilia e morti nel Mediterraneo è aumentato del 20 per cento. Ecco perché noi siamo in mare. E certamente speriamo di poterci dotare per i tempi futuri di un’imbarcazione migliore. Ma intanto dovevamo agire». 

Sin dal primo giorno di navigazione sulla mare Jonio sventola la bandiera della città di Palermo. E partendo da questo gesto il sindaco Orlando esprime una propria riflessione. «Il proibizionismo ha sempre portato profitto alle organizzazioni criminali – dice il primo cittadino – Ma se per gli Stati Uniti degli anni ’20 e di Al Capone in fondo si trattava solo di alcol, qui si tratta di diritti e di vite umane. Viviamo in un sistema che è criminogeno perché aiuta i criminali e criminalizza chi aiuta le vittime. Non dobbiamo più dire che Riace e Palermo sono un modello d’accoglienza, perché dobbiamo evitare la logica del bersaglio». E a bordo della Mare Jonio c’è anche Marta, attivista 26enne che a Roma «si barcamena tra un lavoro precario e l’altro. Ho pensato subito che partire fosse la cosa giusta da fare – dice  – Non volevo essere più impotente. E quella di Mediterranea è un’azione importante anche per salvare noi stessi, per salvarci dalla barbarie in cui la nostra società è sprofondata, con questi volti e queste vite che diventano invisibili. Ho potuto sperimentare cosa significa il buio della notte in mare, e penso a chi l’affronta su un improvvisato gommone per sbarcare in Italia e tentare di trovare così la sua salvezza».

Andrea Turco

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