Migranti, la macchina dell’accoglienza è sotto stress Darawsha: «Affrontare questione senza fissa dimora»

«Tutti coloro che abitano nella città di Palermo sono Palermitani». Non usa mezzi termini il sindaco Leoluca Orlando parlando di immigrazione sulle pagine del giornale francese Le Monde. Per alcuni sono soltanto numeri, per altri vengono in Italia per rubarci il lavoro, per altri ancora li dovremmo aiutare nel loro Paese. Eppure qui a Palermo c’è tanta gente che condivide con loro la propria vita: colleghi di lavoro, coppie o single, hanno fatto richiesta per avere in affidamento alcuni minori. La Sicilia, in termini di numeri, è una delle regioni che ha più migranti in accoglienza rispetto al resto del Paese, seconda solo alla Lombardia. Sono 13.630 quelli presenti sul territorio. Dietro ogni numero c’è una storia, un racconto, una partenza, un arrivo e tante speranze. 

La macchina dell’accoglienza a Palermo si spende molto, il Comune mette a disposizione personale e risorse per dare un’altra chance a chi giunge dal mare. Ci sono volontari, psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali, educatori che ogni giorno provano a dare risposte alle tante domande dei migranti che arrivano da noi. Purtroppo il numero di migranti che sbarca sulle nostre coste è sempre in crescita e questa macchina, seppur efficace, non può rispondere a tutte le istanze: sono troppi gli immigrati senza fissa dimora abbandonati al loro destino. «Sono convinto che la mobilità internazionale sia un diritto umano – prosegue Orlando nella sua intervista al quotidiano Parigino – Una persona non può morire perché un paese si rifiuta di ospitarla. Ecco perché abbiamo adottato la Carta di Palermo e abbiamo creato la Consulta delle culture, che è l’unico organo al mondo a rappresentare politicamente i migranti all’interno di un’amministrazione cittadina».

E proprio dalla Consulta delle culture arriva il primo campanello di allarme per un sistema di accoglienza che sta andando sotto stress. Due immigrati sono morti per strada, da invisibili, motivo per cui Adham Darawsha, presidente della Consulta che si è dimesso dal suo incarico, pur rimanendo membro dell’organismo, manifesta la propria preoccupazione: «Dopo la morte di un immigrato senza fissa dimora in via Maqueda, e prima di lui di un altro straniero morto di stenti al Foro Italico, ho rassegnato le dimissioni da presidente. – spiega – Il Comune di Palermo non ha, o non vuole avere, gli strumenti giuridici e logistici per affrontare la questione dei senza fissa dimora. E scarica il peso della questione sulle associazioni e sulla società civile. Ma non basta cercare dei posti letto qui o lì. Bisogna affrontare la questione con un approccio multidisciplinare con cui coinvolgere anche psicologi e assistenti sociali». 

È molta la frustrazione di chi vorrebbe che l’accoglienza a Palermo, nel Paese e in Europa, fosse diversa. «Ci sono degli effetti che la nostra città non riesce a tamponare. – scrive su Facebook Laura Nocilla, psicologa del Comune – questo è un fallimento che sta producendo mostri da tutte le parti. Serve una riflessione sincera e non ideologica tra le parti. Ed è per questo che bisogna ringraziare Adham, non per quello che ha fatto e costruito con passione e intelligenza, ma per avere con forza gridato che è tempo di fermarsi, e ricominciare rinnovandosi. Con tutta l’onesta che serve per affrontare i problemi e riconoscere cosa si è sbagliato, dove siamo stati ciechi e incapaci. Confesso, che il silenzio di questi giorni, mi fa ancora più male. Forse è vero che siamo solo capaci di lamentarci ed essere poco costruttivi».

Alessia Rotolo

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