Un emendamento alla legge finanziaria per il trasferimento del relitto del naufragio del 18 aprile 2015 da Augusta a Milano, nel complesso dell’università statale a città studi, dove si realizzerà il Museo dei diritti umani. Prima firmataria è la deputata del Partito democratico, Lia Quartapelle che ha chiesto l’impiego di 500mila euro. L’emendamento, già presentato e approvato in commissione Difesa, è adesso in commissione Bilancio alla Camera.
«Le migrazioni – dichiara la deputata Pd – sono una delle sfide politiche e sociali che l’Italia ha raccolto. Lo abbiamo fatto mantenendoci saldamente ancorati ai valori della solidarietà e della dignità umana: per questo, il recupero e la conversione del relitto di quel naufragio hanno assunto una grande importanza simbolica, per onorare la memoria delle migliaia di migranti morti in questi anni nel Mediterraneo. Il Museo dei diritti umani – conclude – servirà a raccontarne la storia e a riconoscere le ragioni delle persone che sono partite. Sarà un monumento alla dignità umana da contrapporre all’indifferenza».
Era il 18 aprile del 2015, la data che passerà alla storia come il giorno in cui è avvenuta la più grande strage di esseri umani conosciuta nel mar Mediterraneo. Il 27 aprile del 2016 hanno avuto inizio le operazioni di recupero del relitto del peschereccio inabissato che si trovava a cento chilometri dalla Libia a una profondità di 370 metri. Un’operazione complessa, costata oltre dieci milioni di euro, per recuperare il barcone lungo 25 metri e largo sette. Da allora, il simbolo di quella tragedia ha trovato posto nel pontile della base Nato.
Adesso, la proposta delle deputata Quartapelle sta suscitando qualche reazione a livello locale. «Questa iniziativa non la digerisco – afferma a MeridioNews la sindaca pentastellata di Augusta, Cettina Di Pietro – Questo territorio ha dato molto per gli sbarchi e continua a farlo, ma non c’è mai stato riconoscimento di nessun tipo». Nato lo scorso anno per iniziativa di Cgil, Legambiente e singoli cittadini augustani con lo scopo di conservare la memoria di quel naufragio, il Comitato 18 aprile chiede «di non privare Augusta, che da oltre cinque anni è la prima città in Italia per numero di sbarchi di migranti, di questo simbolo». Da quando si è costituito, il Comitato ha inviato due note ufficiali, rimaste lettera morta, – il 14 agosto e il 21 dicembre 2016 – ai presidenti del Consiglio e ai ministri competenti chiedendo che «il barcone non sia demolito né trasferito, ma che rimanga qui e possa essere collocato in un’area dove intendiamo realizzare un Giardino della memoria dedicato alle vittime delle migrazioni».
L’area prescelta sarebbe una parte all’aperto della parrocchia di San Giuseppe Innografo, in contrada Monte Tauro ad Augusta. Critici nei confronti di questa proposta sono i componenti della Rete antirazzista catanese. «Sarebbe giusto che il barcone restasse qui – dicono – ma a condizione che venga collocato in un posto in cui davvero può essere valorizzato. Dov’è adesso, su un piedistallo all’aperto dentro una sede militare in cui è abbandonato alle intemperie metereologiche non lo è affatto. Ma secondo noi – proseguono – non lo è nemmeno un terreno all’aperto di proprietà della chiesa anche per una questione di rispetto nei confronti delle vittime, certamente non tutte di religione cattolica. Se resta qui – concludono – deve diventare soprattutto il simbolo di una tragedia e spingere a migliorare i nostri criteri di accoglienza».
La questione della destinazione del relitto è stata sottoposta all’attenzione della Presidenza del Consiglio dei Ministri anche dall’ufficio del commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. «Di quel naufragio – spiega a MeridioNews Vittorio Piscitelli – non si conosce ancora il numero delle vittime: le 530 già recuperate sono state sepolte nei cimiteri della Sicilia e in alcune province della Calabria». A queste se ne devono aggiungere altre, perché «sono stati recuperati moltissimi resti che si sta cercando di ricomporre attraverso confronti genetici. È presumibile – afferma – che si arriverà a oltre 700 corpi. Per le identificazioni si prosegue con la raccolta dei dati ante mortem delle vittime nei Paesi di provenienza per iniziare quanto prima il confronto tra le informazioni raccolte e i dati post mortem già catalogati dall’università degli studi di Milano-Labanof».
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