Migranti annegati dopo rissa, sette condannati e otto assolti «Sentenza discutibile. Caduta aggravante dell’odio religioso»

Nessun odio religioso, ma ci sono comunque dei colpevoli. Ha deciso così la corte riunita oggi nell’aula bunker dell’Ucciardone. Dei 15 migranti alla sbarra originariamente accusati di omicidio plurimo con l’aggravante dell’odio religioso per aver gettato da un gommone alcuni migranti perché di fede cristiana in sette finiscono condannati, mentre gli altri otto sono assolti. Quattro anni per il presunto scafista, 18 invece per tutti gli altri. Tra questi c’è anche Kamarà Osman, difeso dall’avvocato Lorenzo Marchese che parla di «sentenza molto discutibile e illogica perché è caduta l’aggravante dell’odio religioso e quindi il movente – spiega a MeridioNews – Quindi non si capisce com’è che li hanno potuti condannare e com’è che nell’ambito dei riconoscimenti fatti dalle stesse persone alcuni sono condannati e altri no». Le motivazioni saranno depositate fra 90 giorni, intanto l’avvocato Marchese annuncia già che ricorrerà in appello: «Vorrò leggere le motivazioni, è una sentenza indecifrabile».

I fatti risalgono all’aprile del 2015, quando la nave panamense Ellensborg salvò da morte certa nel canale di Sicilia 95 migranti a bordo di un gommone quasi inabissato. I pm Claudio Camilleri, Renza Cescon e Marina Ingoglia avevano chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati. A partire sarebbero stati fra i 100 e i 130, durante i mesi di dibattimento non è stato possibile accertare un numero preciso. L’accusa si è basata principalmente sulla testimonianza di sei sopravvissuti, tre ghanesi e tre nigeriani, che già al porto di Palermo subito dopo lo sbarco accusarono i quindici processati. Sul gommone, che pare essersi forato al secondo giorno di traversata iniziando così a imbarcare acqua, sarebbe nata una lite tra gli imputati e le vittime finite in mare, che per l’accusa sarebbero nove.

La difesa, però, nel corso dell’arringa finale ha più volte puntato il dito contro le «incertezze» emerse nei mesi di dibattimento e i «salti processuali» che avrebbero minato l’impianto accusatorio. Impossibile assecondare la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio. «I fatti, così come li ha ricostruiti la Procura, non si sono mai verificati», aveva detto in aula l’avvocato Marchese, il cui assistito non è mai stato effettivamente riconosciuto e indicato dai sei dichiaranti sui quali si è basata l’accusa. Dichiaranti che riconoscono, invece, quasi all’unanimità (quattro testi su sei) altri due migranti, che però non finiscono a processo. Secondo i difensori, infatti, durante il dibattimento si sarebbe definito sempre più chiaramente lo scenario tipico di unnaufragio. Scenario che avrebbe da solo contribuito, secondo loro, alla morte dei nove migranti spariti in mare. Mentre l’aggravnate dell’odio religioso sarebbe l’elemento necessario da tirare in ballo per non far venire meno il movente.

«Se le cose fossero andate come hanno detto i pm, allora il reato sarebbe piuttosto quello di strage e di terrorismo di matrice islamica», aveva detto anche l’avvocato Domenico Trinceri nel suo discorso conclusivo a gennaio. Spinosi anche altri punti della storia: il fatto, ad esempio, che gli inquirenti abbiano sentito solo sei dei sopravvissuti, ignorando gli altri 74. Compresi, poi, il comandante e i soccorritori della Ellensborg, anche loro testimoni oculari delle condizioni in cui i migranti furono ritrovati al momento del salvataggio. 

Silvia Buffa

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