Da più di venti giorni decine di migranti vivono al Palaspedini in attesa di una sistemazione. Sono 61, di cui venti minori, arrivati a Catania nei primi giorni di ottobre. «La notte abbiamo freddo, le coperte non bastano per tutti», hanno spiegato i migranti ai volontari della Rete antirazzista catanese. Anche le ciabatte fornite al loro arrivo non sono adeguate, dopo l’abbassamento delle temperature. Due di loro sono finiti all’ospedale per la febbre alta contratta durante i giorni di permanenza nell’impianto sportivo. «Ci hanno fatto solo le analisi del sangue e senza darci nessuna cura ci hanno rimandato qui», denunciano ancora agli attivisti.
I migranti provengono dal Bangladesh e da alcuni paesi dell’Africa subsahariana: Mali, Gambia e Nigeria. Sono arrivati in buona salute, si sono ammalati nella struttura di prima accoglienza. Nel gruppo dei circa venti minori, 12 sono originari del Bangladesh. Ieri mattina il rappresentante della comunità asiatica a Catania si è recato al Palaspedini e ha raccolto le lamentele dei ragazzi: freddo, poche coperte, cibo scadente. Davanti al palazzetto dello sport c’è solo un’auto delle forze dell’ordine che si tiene a distanza. Dentro e all’ingresso nessun addetto all’accoglienza. «I pasti vengono portati da un furgoncino, spesso si tratta di riso scotto, probabilmente preparato dal consorzio che gestisce il Cara di Mineo», spiega Alfonso Distefano, della Rete antirazzista. Come già avvenuto negli ultimi mesi, da quando l’accoglienza è stata subappaltata dalla Prefettura al consorzio Calatino terra d’accoglienza. Adesso però la responsabilità sui migranti rimasti nel palazzetto vicino allo stadio Massimino, viene rimpallata tra Comune e prefettura.
I migranti arrivati invece due giorni fa, quasi tutti siriani, sono già andati via autonomamente dopo essere passati per qualche ora dal Palaspedini. «Non è chiaro chi se ne debba occupare – denunciano dalla Rete antirazzista – ma non si possono parcheggiare per tre o quattro settimane decine di persone in un impianto sportivo. Ci sono anche tre donne costrette a vivere in promiscuità. Noi – continua – avevamo chiesto di aprire gli ospedali in disuso, strutture certamente più idonee ma l’appello è caduto nel vuoto. Il sindaco Bianco si vanta del fatto che Catania è una città accogliente, ma la realtà è che se ne lava le mani».
[Foto di archivio]
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