Gela, i veterani contro le strategie dell’Eni «Il sogno di Mattei non era la Green Rafinery»

Che l’accordo firmato il 21 ottobre a Roma, sul nuovo piano industriale della Raffineria di Gela, dai vertici Eni, dalla Regione Siciliana, dal Comune di Gela e dai sindacati confederali non fosse piaciuto alla cittadinanza era piuttosto palese. Persino alcuni consiglieri comunali hanno ammonito con un documento l’amministrazione a non firmare il successivo atto previsto per il 6 novembre. Ma che anche l’associazione Pionieri e Veterani Eni si schierasse contro l’ex datore di lavoro è una notizia nuova ed inaspettata.

La presa di distanza giunge durante la commemorazione per il 52esimo anniversario della morte di colui che più di tutti ha creduto nell’idea di portare l’industria in un territorio finora prettamente agricolo. «Enrico Mattei ha rappresentato il progresso a Gela – dice Giuseppe Lisciandra, presidente dell’associazione – A distanza di 52 anni stiamo subendo un regresso della Raffineria e del petrolio. Adesso è solamente un colosso d’argilla, prima era un colosso d’acciaio». Dopo aver celebrato una messa nella chiesa di San Giovanni Evangelista, proprio nel quartiere fortemente voluto dal dirigente pubblico, gli anziani soci dell’associazione hanno deposto di mattina una corona d’alloro ai piedi del sorridente busto dell’uomo soprannominato “faccia di pietra”.

Cosa c’è che non va nella Green Rafinery e nelle trivellazioni offshore previste? Perché il nuovo piano sbriciola il sogno di Mattei? «L’idea dell’Eni era quella di trovare ricchezze naturali e lì portare ricchezze di civiltà – spiega Rosario Costa, un altro portavoce – Invece così si comporta da commerciante, tra l’altro con risorse non proprie, e non da impresario pronto a sostenere i costi di un’impresa». Altri vecchi lavoratori si lasciano andare rievocando i bei tempi andati. Uno racconta di aver stretto la mano «all’ingegnere» come avesse toccato un santo o una reliquia. «Quando sono stato assunto io – continua Costa – era il 1975 ed ero la matricola 4.400. Prima attiravamo i forestieri che venivano a lavorare da noi, adesso sono i nostri concittadini che vanno via». Altri tempi, altri numeri, altra forza contrattuale.

Il governo regionale ha gridato alla vittoria per aver «costretto» l’Eni a mantenere gli attuali livelli occupazionali. Ma il processo di smantellamento degli impianti e la riduzione del numero dei lavoratori sono processi in atto da oltre 20 anni. Lo conferma ancora una volta il veterano Costa. «L’indotto sopravviveva con quelle quattro ferraglie che l’Eni si ostina a tenere. Su 100 operai manco il 50 per cento lavorava. Come si poteva andare avanti con una sola linea di raffinazione in marcia su tre?». Pare impossibile che una multinazionale energetica come quella rappresentata dal cane a sei zampe possa tenere un sito del genere in queste condizioni. «Rimangono – conclude Costa – per non dover fare le bonifiche che gli spetterebbero per legge se abbandonassero il territorio».

Andrea Turco

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