Migranti, 20 mesi di viaggio per arrivare in Italia Mappa interattiva presenta rotte della speranza

Stanchezza, paura, traumi pur di farcela. Anche se lo spettro della morte è qualcosa in più di una possibilità. Il cammino dei migranti africani – i cosiddetti viaggi della speranza – ha nella traversata del Mediterraneo soltanto l’ultimo, il più terribile, dei pericoli. Ad approfondire il tema delle rotte migratorie dal Continente Nero è stato oggi Medici per i diritti umani (Medu), ong impegnata nell’assistenza ai rifugiati, con la presentazione di una mappa interattiva in cui è possibile ripercorrere le vie battute dai migranti prima di approdare in Italia. 

Il lavoro è frutto delle testimonianze raccolte negli ultimi tre anni dagli operatori e dai volontari dell’organizzazione, che hanno ascoltato le storie di mille migranti. L’età media degli intervistati è di 26 anni, con una prevalenza di maschi (870). Si tratta di un’opera in divenire che si arricchirà con il passare del tempo di nuovi contributi e, dunque, suscettibile a modifiche in conseguenza a eventuali cambiamenti geopolitici. 

Parte dei dati sono stati registrati nei centri di accoglienza straordinaria di Ragusa e al Cara di Mineo, che attendevano l’esame della propria richiesta di asilo. Guardando alle rotte, se ne possono distinguere due principali: la prima riguardante i rifugiati provenienti dall’Africa Occidentale e quella battuta dai migranti che partono dal Corno d’Africa.

Tanti sono i motivi che spingono i migranti a lasciare il proprio Paese, e nella maggior parte i propri familiari. Tra questi, tuttavia, la causa economica rappresenta una esigua minoranza (dieci per cento). Molto più pressanti, infatti, sono le motivazioni riguardanti la ricerca di protezione dalle persecuzioni politiche oppure, come nel caso degli eritrei, dell’obbligo del servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato.

La rotta occidentale prevede il passaggio dal Niger, prima di arrivare in Libia, paese da cui salpa la stragrande maggioranza dei barconi diretti in Sicilia. In questo caso la durata del viaggio è mediamente di 20 mesi, dei quali circa 14 trascorsi nel Paese nordafricano, dove i migranti sono costretti a vivere e lavorare in condizioni spesso terribili. Il percorso fatto invece da chi proviene dalle nazioni del Corno d’Africa interessa il Sudan, per poi giungere ancora una volta in Libia. In questo caso il viaggio è di circa 15 mesi, con una permanenza in Libia di 90 giorni. 

A popolare queste tappe sono il più delle volte trafficanti che non esitano a speculare sulla speranza dei migranti, finendo non solo per sottrarre loro buona parte delle loro risorse economiche ma anche con il sottoporli a una serie di violenze, le cui conseguenze si fanno sentire anche dopo essere arrivati in Europa. In tal senso, il 90 per cento dei rifugiati ha dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso, torturato o pestato. Tra le privazioni da affrontare ci sono la carenza di cibo e acqua e le pessime condizioni igienico-sanitarie.

Tutto ciò, come detto, si riflette non solo sul fisico dei migranti ma anche sulla loro psiche, con traumi che si manifestano anche a distanza di tempo. Tra i disturbi più riscontrati c’è quello da stress post-traumatico, ma non mancano quelli di natura depressiva, oltre che a stati d’ansia e disturbo del sonno. Conseguenze che, in maniera inevitabile, rallentano il percorso di integrazione nei paesi d’asilo, portando spesso il migrante a una chiusura verso l’esterno.

Simone Olivelli

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