Migrante a rischio espulsione, sit-in davanti alla Prefettura «Assurdo che per una malattia debba ricevere una pena»

«Espellere ed espatriare un ragazzo con evidenti problemi psichici significa anzitutto negargli il diritto alla salute di cui godono tutti gli altri cittadini». A dirlo è Francesco, giovane studente universitario che insieme ai volontari di HRYO – Human Rights Youth Organization questa mattina, insieme a una trentina di persone, ha preso parte al sit-in organizzato davanti alla Prefettura. A motivare i volontari, gli universitari e i cittadini accorsi con striscioni e cartelli di protesta è stata la decisione presa una settimana fa dal Ministero degli Interni di firmare un decreto di espulsione per un giovane di origine marocchina affetto da psicosi che è salito su un tavolo della mensa universitaria agitando il cellulare e generando il panico negli studenti presenti. L’intervento delle forze dell’ordine, che lo ha trattato come un normodotato malgrado sia un soggetto a loro già noto, è stato repentino. Adesso il ragazzo, studente di Economia e da anni a Palermo, si trova rinchiuso in un Cie.

«Continuiamo a monitorare la situazione», spiega a MeridioNews Marco Farina, presidente di HRYO. «Siamo qua oggi per sottolineare il fatto che uno Stato civile, in presenza di un soggetto con una fragilità del genere, dovrebbe tutelarlo piuttosto che aggravarne la condizione psico-fisica – continua – Temiamo che il fatto che lui sia marocchino abbia portato a mettere in secondo piano la sua condizione e il suo diritto alla salute. Noi siamo in possesso di tutti i suoi certificati medici, che testimoniano che ciò di cui soffre è cronico». I volontari si sono riuniti soprattutto per per chiedere di essere ricevuti dalla prefetta Antonella De Miro. «Siamo qui per chiedere che venga liberato immediatamente, non ha commesso un reato in piena consapevolezza di sé, non era lucido», dice un altro membro di HRYO, Reda: «Stiamo parlando inoltre di un ragazzo da anni a Palermo e molto attivo nell’ambito del sociale, del volontariato e delle associazioni. Vorremmo che sia rimesso in cura e poi che sia messo in condizione di affrontare un percorso di reinserimento sociale. Non è possibile che per la sua malattia debba ricevere una pena».

Secondo il volontario, infatti, quanto accaduto nei giorni scorsi al ragazzo sembrerebbe più una punizione che un meccanismo per tutelarlo. Compresa l’eventuale decisione di rimpatriarlo: «Tornare o meno nel suo paese e dai suoi familiari dovrebbe essere una libera scelta, non un’imposizione – insiste Reda – Non è una persona cattiva, è un tecnico informatico molto preparato e si è prestato anche all’organizzazione di eventi culturali, curarlo e permettergli di restare qua significherebbe dargli un futuro lavorativo e professionale. Rinchiuderlo per una malattia di cui soffre mi sembra piuttosto scorretto, una pena per un malato. Percepisco tutto questo come una prova di forza che non ha senso». A reggere cartelli e a protestare, però, ci sono anche gli studenti universitari: «Come cittadino, come attivista e come membro dell’Udu Palermo penso che stiamo assistendo a qualcosa di veramente vergognoso», dice subito Rosario.

E la storia, secondo lo studente, non comincia col decreto di espulsione, ma ancora prima, ovvero quando l’Ersu, dopo il procurato allarme in mensa, ha deciso di sospendere la borsa di studio del ragazzo. «Può una denuncia per procurato allarme, alla luce soprattutto del fatto che ce ne sono migliaia in una città come Palermo e che coinvolgono principalmente italiani, innescare tutto questo? – si chiede – Siamo davanti a benaltrismo, per non dire addirittura razzismo. In primo luogo da parte dell’Ersu, che io reputo colpevole di un provvedimento assolutamente disumano, in secondo luogo da parte di Questura e Prefettura». Sembra avere le idee molto chiare, il giovane membro dell’Udu, che a un certo punto allarga la questione: «Il discorso è un altro: possiamo noi essere sordi ed essere ciechi, non voler né sentire né vedere quello che sta succedendo nella nostra terra? La risposta deve essere no. Oggi siamo qui come sindacato studentesco – conclude – E saremo qui anche domani, saremo qui ogni qualvolta saranno violati i diritti di studenti e studentesse, di uomini e donne, di giovani e meno giovani, di lavoratori e lavoratrici di questo paese». 

Silvia Buffa

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