Messina, torre di 22 piani al posto di palazzo del 700 Immobile abbattuto, ma Sgarbi invia i suoi ispettori

L’abbattimento di quel palazzo del ‘700 che sorgeva in via degli Orti e faceva capolino in via Cesare Battisti aveva destato scalpore e incredulità tra i residenti, perché rappresentava una delle poche testimonianze architettoniche della Messina prima del terremoto del 1783, sopravvissuto anche al sisma del 1908 e alla Seconda guerra mondiale. Dai residenti lunedì sono partite le segnalazioni che oggi hanno portato all’intervento del soprintendente di Messina Orazio Micali, che ha imposto lo stop dei lavori. Una decisione che però è risultata tardiva. Motivo per cui lo stesso Micali è stato pesantemente criticato dall’assessore regionale Vittorio Sgarbi, che ha annunciato di volerlo rimuovere dall’incarico. Prima di lui erano intervenuti due esponenti della giunta Accorinti: l’assessore Federico Alagna e il collega Sergio De Cola a sollevare perplessità sulle modalità di esecuzione di abbattimento del palazzo. Di cui adesso restano solo cumuli di macerie e la facciata, da anni puntellata in attesa di essere oggetto di restauro. 

A suscitare le perplessità dei residenti era stato l’avvio dei lavori senza l’affissione del regolare cartello che indica per legge la ditta esecutrice e il motivo dei lavori in corso. L’assessore De Cola, investito della questione, ha risposto con una nota in cui denunciava che «in base a quanto verificato, nessun provvedimento è stato emesso dai Dipartimenti del Comune per autorizzare la demolizione dell’edificio storico del quartiere Avignone, uno degli ultimi brani di storia della città di Messina». Oggi il soprintendente Micali interviene dopo essere stato attaccato duramente dall’assessore ai beni Culturali Vittorio Sgarbi, che ieri, intervistato a Firenze, ha annunciato di aver «chiamato gli ispettori per andare a indagare e verificare se ci sono le condizioni per trasferirlo». 

Micali oggi ha bloccato i lavori di demolizione e anche i lavori per la costruzione del palazzo a 22 piani da parte della ditta proprietaria dell’area. Perché, sostiene il dirigente regionale, i lavori sarebbero iniziati senza darne adeguata comunicazione. Una comunicazione che è arrivata agli uffici della Soprintendenza dopo la demolizione, e non prima, come prevedeva il provvedimento di autorizzazione rilasciato nel 2013. Nel nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza nel 6 marzo del 2013 veniva specificato che «vista la rilevanza architettonica e testimoniale della facciata di cui si prevede il consolidamento e la ricostruzione per anastilosi, si chiede di comunicare in tempo utile l’avvio dei lavori, per consentire alla scrivente l’esercizio della vigilanza durante la quale lo scrivente potrà dettare condizioni». 

La Soprintendenza avrebbe dovuto censire, catalogare e conservare tutti gli elementi storico-architettonici dell’edificio da demolire. Invece si è potuta recare sul posto della demolizione quando già questa era stata avviata. Il direttore dei lavori avrebbe comunicato l’inizio delle demolizioni con una pec alle 21.28 dell’8 gennaio, quindi dopo che era stata abbattuta una porzione rilevante del palazzo. Arrivando di sera, la pec è stata protocollata dalla Soprintendenza il giorno dopo, in orario d’ufficio. I lavori, come sottolinea il Soprintendente, sono quindi iniziati «diversamente dall’obbligo di comunicazione preventiva disposta nel provvedimento approvativo». Inoltre mancherebbe anche «il provvedimento autorizzativo ex art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio», cioè una novità nella normativa introdotta successivamente al 2013. Ecco perché è stata disposta l’immediata sospensione dei lavori in corso di esecuzione.

Simona Arena

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