Le tasse sui rifiuti pagate dai messinesi sono finite a ripianare i buchi nel bilancio di Messinambiente, generati, secondo gli inquirenti, da un sistema di tangenti portato a galla da una denuncia del 2013 sporta dall’attuale sindaco, Renato Accorinti. Un meccanismo capace di fare indebitare sempre più la società in liquidazione, partecipata integralmente dal Comune, determinando sprechi per decine di milioni di euro l’anno. Con effetti collaterali incalcolabili, anche sulla manutenzione dei mezzi che potrebbero non aver ricevuto negli anni alcun tipo di manutenzione.
Le indagini condotte dalla polizia di Stato e dal comando provinciale dei carabinieri, questa mattina hanno condotto a cinque arresti. Ai domiciliari, l’ex amministratore unico e poi liquidatore della Spa, Armando De Maria; il funzionario amministrativo-contabile, Antonino Inferrera; gli imprenditori Marcello De Vincenzo (titolare della Mediterranea A. Srl) e Francesco Gentiluomo (titolare della Gentiluomo Srl) e il broker assicurativo Antonio Buttino, di Barcellona Pozzo di Gotto. Le misure cautelari, adottate dal gip del Tribunale di Messina su richiesta del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e del sostituto Stefania La Rosa, si basano sull’ipotesi dei reati di corruzione e truffa aggravata. Gli indagati sono molti di più, tuttavia, e l’indagine, ben più ampia, pare stia interessando anche personale del Comune.
Il periodo sotto osservazione va dal 2009 al 2014. Nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari si parla di un’azienda gestita in barba alle normali regole di diritto pubblico, con appalti affidati tramite trattativa privata anziché evidenza pubblica. Una pressoché totale esternalizzazione del core business aziendale: società fittizie – secondo gli inquirenti costruite da Di Maria – sarebbero state beneficiarie di commesse per importi di rilevante valore. Non ci sarebbe, per esempio, traccia delle consulenze assegnate alla Finconsulting e alla FinService Srl. Né di altre attività che altre imprese avrebbero dovuto svolgere. Da qui, i sospetti che gli ingenti sprechi generati abbiano potuto avere come scopo quello di ricavare delle tangenti. Al momento, tramite accertamenti bancari, ne sono state individuate tre, del valore complessivo di 100mila euro, confluite sui conti di Inferrera, ritenuto il braccio destro dell’ex amministratore unico, capace di incidere sulle scelte dei partner privati, spesso suoi amici personali. A versarle, sempre stando alle indagini, Buttino (52mila euro), De Vincenzo (41mila) e Gentiluomo (10mila).
Ben più vasti i danni economici, ripianati nel tempo attraverso le tasse a carico dei contribuenti. L’ultima, la Tari, lungamente contestata sui media locali per il suo importo. A colpire la Procura è la gestione di una realtà in liquidazione che invece di incoraggiare il risparmio alimentava sprechi, con acquisti di beni e servizi al triplo dei prezzi di mercato. Significativo, dal 2009 al 2013, il saldo negativo di Messinambiente di 25 milioni 764 euro, con perdite d’esercizio da 31 milioni 828mila euro. Per gli inquirenti, un classico esempio di malgoverno della città.
Le vacche grasse sarebbero finite con l’arrivo del commissario liquidatore Alessio Ciacci, voluto proprio da Accorinti. Fino ad allora tuttavia il malcostume avrebbe imperato. A partire dal sottoutilizzo dei mezzi in dotazione alla partecipata, tenuti spesso fermi, talvolta in riparazione: solo 50 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno venivano trasportati con i camion di Messinambiente. Mentre altri 60 erano a carico dei privati. Nel 2012, sono stati solo 1.310 i giorni produttivi. Inoltre, il sovraccarico sui pochi mezzi impiegati provocava guasti e il ricorso alle ditte private. Con l’arrivo di Ciacci, la quantità è immediatamente salita a 87 milioni di tonnellate.
La magistratura non è sicura nemmeno che l’attività di manutenzione sui mezzi sia mai stata realmente eseguita. Per questo si sta cercando di verificare l’incidenza del fenomeno su incidenti, anche mortali, come quello, del 3 luglio 2014, in cui è rimasto vittima Antonino Tomasello. Pur non avendo esperienza nel settore, in un quinquennio la Mediterranea A – in un primo tempo affidataria della manutenzione e sanificazione dei cassonetti – avrebbe generato profitti per 2 milioni 600mila euro. La Gentiluomo, invece, avrebbe svolto il servizio di pronto intervento pur non disponendo di operai specializzati, incassando un milione dal 2009 al 2013. Da decifrare anche gli incentivi elargiti ad alcuni dipendenti, più che altro, secondo gli inquirenti, per ottenere il loro consenso: a dispetto di una situazione di forte precarietà economica, senza giustificazioni contabili soddisfacenti, a un singolo caposquadra dal 2009 al 2014 sembra potessero essere corrisposti fino a 22mila euro, quanto il compenso di Ciacci.
Altro rebus, quello delle polizze assicurative. Per ridurre la spesa, fino al 2010 di 200mila euro, ci si sarebbe rivolti a Buttino il quale, non solo avrebbe percepito un compenso diretto da Messinambiente, ma avrebbe fatto lievitare la spesa fino a 700-800mila euro. Intercettazioni tra lo stesso e Inferrera avrebbero rivelato rapporti economici tra i due mentre in un’altra telefonata il broker avrebbe assicurato un dipendente della Cattolica assicurazioni sulla volontà di non volere procedere a nessuna gara d’appalto. Buttino, subentrato alla Sai nella gestione di tutti i contratti assicurativi, avrebbe percepito commissioni del 15 per cento incassando circa 350mila euro in tre anni.
Della vicenda verrà investita pure la procura generale della Corte dei conti. Qualora venisse presa in considerazione la natura privatistica e non pubblica dell’attività di Messinambiente, i reati ipotizzati sarebbero di bancarotta fraudolenta. Ben più gravi sotto il profilo delle sanzioni.
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