Messina, la parabola politica di Emilia Barrile Da paladina del popolo alla ricerca del potere

Dai quasi cinquemila voti di giugno come candidata a sindaca di Messina, fino al suo arresto di oggi per pressioni su dirigenti e funzionari del Comune con l’intento di favorire le imprese a lei vicine. Gli ultimi mesi di Emilia Barrile sono stati particolarmente intensi. La storia politica dell’ex presidente del Consiglio comunale di  Messina comincia alla fine degli anni ’90. I primi passi li muove all’interno dell’Unione di centro, sfruttando il bacino elettorale di Gravitelli, zona centrale di Messina. Qui Barrile ha il suo patronato e riesce a diventare consigliera della settima circoscrizione grazie ai voti che arrivano dalla sua capacità di creare consenso nel territorio, soprattutto nelle periferie. Quelle stesse aree a cui aveva promesso di spendere le sue attenzioni se fosse riuscita a varcare la porta di palazzo Zanca come sindaca. 

Dopo un’altra esperienza come consigliera di circoscrizione nel 2005, questa volta nel centrosinistra con il sostegno di Francantonio Genovese, arriva nel 2008 in Consiglio comunale. È il 2013 quando, grazie ai 2500 voti ottenuti nella competizione elettorale e anche al sostegno della maggioranza che è in quota Genovese, viene eletta presidente del Consiglio comunale. Già nel 2007 sul suo curriculum politico aveva aggiunto il ruolo di segretaria regionale del Partito democratico. Due suoi tratti caratteristici sono la determinazione e le code di gente dietro la sua porta. Un rapporto con le persone su cui fonda la sua candidatura alle amministrative di giugno, nata come gesto di stizza contro chi l’ha tradita preferendo appoggiare il candidato scelto dal governatore Nello Musumeci

Lo strappo con Francantonio Genovese, infatti, matura dopo la campagna elettorale per le Regionali. Fedelissima all’ex parlamentare, gli resterà accanto anche durante il periodo del suo arresto. Quando l’ex sindaco di Messina lascia il Pd per approdare in Forza Italia, Barrile nel dicembre del 2015 lo segue. L’idillio tra i due è, però, destinato a finire. Le ambizioni politiche della donna puntano a un seggio a Palermo: ci sono le Regionali del 2017 e i suoi elettori sono cresciuti ma Genovese decide di candidare il figlio Luigi e lei fa un passo indietro. In cambio ci sarebbe la promessa di un sostegno alle Politiche di marzo 2018. Ma Genovese non sarebbe riuscito a strappare a Roma posti per i suoi candidati, nemmeno per suo cognato, Franco Rinaldi. Dovendo scegliere, Genovese a Barrile preferisce Maria Tindara Gullo. Così si crea la frattura.

A gennaio di quest’anno prima si sospende da Forza Italia, ma quando come candidato sindaco il centrodestra sceglie di sostenere il professore Dino Bramanti, arriva l’addio definitivo al partito. Scende in pista da sola con la sua lista Leali progetto Messina e ottiene quasi cinquemila preferenze senza però superare lo sbarramento del 5 per cento e restando, quindi, fuori da palazzo Zanca. Al ballottaggio i suoi voti non possono che andare a Cateno De Luca specie dopo che Bramanti aveva escluso per l’ex presidente del Consiglio comunale una vice sindacatura. 

«Avvalendosi dell’incarico politico ricoperto – si legge nelle 172 pagine firmate dalla gip Tiziana Leanza – interveniva con metodicità presso i competenti Uffici comunali o le aziende partecipate perché alcune istanze avanzate da imprenditori venissero portate a buon fine, finalizzando tale condotta ad acquisire consenso anche in prospettiva elettorale, soprattutto attraverso poi la distribuzione o la promessa di posti di lavoro presso le imprese dei richiedenti il suo intervento». È poi la magistrata a spiegare come Barrile sarebbe riuscita ad assicurarsi questo consenso, cioè «costituendo un sistema collaudato, si prodigava a risolvere problematiche burocratiche, estranee al suo mandato ma pur sempre abusando della sua influenza politica nell’apparato amministrativo della città, in favore di potenziali portatori di pacchetti di voti».

Simona Arena

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