Messina, indagini sul corteo funebre per il fratello del boss Acquisiti filmati. De Luca: «Se avessi saputo, avrei agito»

La Procura di Messina ha aperto un fascicolo per accertare se, sabato scorso, dietro al carro funebre che trasportava al cimitero la salma di Rosario Sparacio, fratello dell’ex boss Luigi Gino Sparacio, ci siano stati assembramenti. Una decina persone avrebbero preso parte alla processione. Ma il decreto Conte vieta cerimonie pubbliche per evitare il diffondersi del coronavirus. La polizia di Atato avrebbe già acquisito dei filmati sull’ultimo viaggio di Ziu Sarinu, come era conosciuto. 

Scomparso a 70 anni dopo una grave malattia, Sarino era il fratello maggiore di Gino Sparacio, ex boss, oggi collaboratore di giustizia. A differenza del fratello Luigi, Sarino a suo carico aveva solo un arresto per delle estorsioni a commercianti messinesi e una breve latitanza finita nel luglio del 1993. Di diverso calibro le accuse mosse al fratello reggente dell’omonima cosca che tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta conquistò la supremazia tra gli altri clan messinesi a colpi di omicidi.
A far tornare agli onori della cronaca il nome degli Sparacio è stato il funerale di sabato scorso. 

La foto è stata pubblicata dal quotidiano online MessinaOra in questo articolo

Nemmeno a dirlo al centro delle polemiche è finito il sindaco Cateno De Luca, attaccato per non essere intervenuto, come è solito fare, per redarguire chi non rispetta le regole. «Mentre in Italia non si celebrano pubblicamente funerali né matrimoni, com’è stato possibile che a Messina in cento abbiano accompagnato al cimitero il feretro del fratello di un capomafia? – ha chiesto con una nota Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia – Dietro la bara di Rosario Sparacio, fratello del boss Luigi, sabato pomeriggio c’erano auto, moto, amici. Dal sindaco Cateno De Luca sempre pronto a rumoreggiare con la fascia tricolore al petto stavolta è venuto solo il silenzio». Anche per il deputato Francesco D’Uva, questore della Camera «è gravissimo e chi si fa garante dei messinesi sullo Stretto lo faccia anche sul territorio comunale: si faccia chiarezza, senza distinzioni». Anche il Pd, col deputato regionale Franco De Domenico, è intervenuto ribadendo al necessità che sia fatta chiarezza. «Ritengo – ha scritto – che i cittadini messinesi, abbiano il diritto di conoscere i fatti e sapere se questo episodio, unico del genere in città in questa fase emergenziale, era a conoscenza delle autorità e se sia stato tollerato o meno, individuando eventuali responsabilità».

La replica di De Luca non si è fatta attendere ed è arrivata come sempre prima sui social network: «Non si perde occasione per denigrare Messina e i messinesi». E ha attaccato i politici che sono intervenuti per chiedere chiarimenti perché «piuttosto che attivarsi personalmente per accertare la verità dei fatti, hanno preferito alimentare delle bieche speculazioni politiche che sono state immediatamente riprese dalla stampa, lasciando intendere che si sia svolto un rito mafioso. Non accetto insinuazioni o accostamenti della mia persona alla mafia o alla criminalità in genere». De Luca ha poi fornito la sua versione dei fatti. «Venerdì scorso, nel primo pomeriggio, il signor Sparacio Rosario, già gravemente malato, è deceduto all’interno della propria abitazione. Constatato il decesso, trascorse le canoniche 24 ore di osservazione, nel pomeriggio di sabato 11 aprile il feretro è stato trasportato dall’abitazione fino al Camposanto in via Catania dove è stato deposto in attesa della tumulazione. Non si è trattato né di un corteo funebre né di una celebrazione religiosa, che sono peraltro vietati dalle disposizioni del DPCM come ribadite dallo stesso Arcivescovo di Messina che, da oltre un mese, ha vietato la celebrazione dei funerali. Dunque, quanto in modo becero è definito “corteo funebre con oltre cento persone” non è altro che un mero trasporto della salma per poche centinaia di metri, al quale si sono uniti, in modo estemporaneo, alcuni familiari del defunto, in numero non superiore alla trentina. Sulla partecipazione al trasporto del feretro da parte dei parenti e dei soggetti che sono ripresi nelle fotografie diffuse dalla stampa, sta già indagando la Questura, alla quale competono in via esclusiva questo genere di attività e sulle quali mi corre l’obbligo di osservare il massimo riserbo, ragione per la quale fino ad ora non ero entrato nel merito della questione. Non consento a nessuno di confondere il mio doveroso riserbo istituzionale con una forma di silenziosa complicità sui fatti». 

Gli strascichi di questa vicenda non si sono fermati al post del sindaco e agli attacchi della politica. A scendere in campo alcuni familiari di Rosario Sparacio che, sempre tramite social network, hanno preso di mira i giornalisti. «Dovete lasciarci in pace nel nostro dolore, non abbiamo tolto niente a nessuno… siamo brave persone… se davvero fossimo quei boss che tanto proclamate non vi sareste permessi». In un post uno dei nipoti ha scritto: «Condividiamo perché anche il sindaco ha dato ragione alla mia famiglia! – si legge – Grazie Cateno De Luca, hai le palle no perché hai dato ragione, ma perché sei coerente e onesto in tutto e per tutto!». 

Prima della mezzanotte, il sindaco De Luca ha risposto indignato prendendo le distanze dalla famiglia Sparacio. «Non voglio essere ringraziato – scrive – per una vicenda che ho appreso dalla stampa e che oggi ho avuto modo di approfondire con l’ufficio di gabinetto del questore con particolari che non posso assolutamente svelare! Io sono stato sempre lontano dagli ambienti mafiosi ed ho sempre combattuto ogni forma di mafia. Se avessi avuto contezza di questa vicenda avrei agito prontamente come sono solito fare. La mafia mi ha sempre fatto schifo come ogni qualsiasi forma di sopruso».

Simona Arena

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