La matassa della gettonopoli messinese si fa sempre più intricata. Questa mattina, solo tre dei dodici indagati raggiunti dall’obbligo di firma hanno risposto alle domande della magistratura nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Parallelamente, emergono autorevoli pareri legali che insinuano dubbi sulla reale perseguibilità, se non di tutti, di alcuni consiglieri comunali.
A palazzo Piacentini, solo Paolo David, capogruppo del Pd, Angelo Burrascano (il Megafono) e Piero Adamo (Siamo Messina) hanno deciso di non avvalersi della facoltà di non rispondere, respingendo ogni addebito. Fabrizio Sottile è l’unico atteso dal giudice per le indagini preliminari nel pomeriggio. Adamo, assistito dagli avvocati Massimo Marchese e Francesco Rizzo, ha presentato una memoria difensiva, affermando di non essersi mai allontanato da palazzo Zanca subito dopo aver firmato. Inoltre, in assenza del numero legale, non avrebbe mai apposto alcuna firma in prima convocazione. I suoi legali hanno chiesto la revoca della misura cautelare, ritenendo inesistente il rischio di reiterazione considerato che il Comune, sin dallo scorso agosto, avrebbe adottato criteri più stringenti per accertare le presenze in aula, proprio alla luce delle richieste avanzate dalla Procura. Pronto il ricorso al tribunale del riesame, qualora il gip rigettasse la richiesta.
Revoca dell’obbligo di firma invocata pure da David, difeso dall’avvocato Salvo Versaci. L’esponente del Partito democratico ha fatto presente che, proprio in funzione del ruolo di capogruppo, egli svolge attività politica a prescindere dalla sua presenza o meno. Non essere presente in aula e far decadere il numero legale – ha fatto presente – «è anche un atto politico». Versaci è pure l’avvocato di Santi Zuccarello (Progressisti democratici), oltre che dei due esponenti del Pdr Nino Carreri e Santi Sorrenti. Questi ultimi due non sono destinatari di provvedimenti cautelari.
Da segnalare l’intervento su Facebook di Salvatore Vernaci, esperto in materia di enti locali e già consulente sia della Provincia che del Comune di Messina. Vernaci, esponente di Cittadinanzattiva, difende Donatella Sindoni, presidente della sesta commissione, indagata per falso ideologico. Secondo l’ordinanza del gip, in un’unica occasione, il 21 gennaio scorso, avrebbe attestato «falsamente l’esistenza del numero legale, ovvero la presenza in sala di consiglieri pari o superiori al numero richiesto ai sensi dell’articolo 57 del regolamento del consiglio comunale o, comunque, di aver proceduto alla suddetta verifica». Si ricorda che per avere il quorum richiesto, in prima convocazione, dovrebbero essere presenti almeno la metà più uno dei consiglieri (otto su 15) e un terzo in seconda. Ovvero cinque. In una situazione analoga, tanto per capire, si trova Maria Perrone, presidente della nona commissione. Anche lei per un’unica seduta. Quella del 2 gennaio scorso. Sindoni, secondo Vernaci, non rientrerebbe nella fattispecie prevista dall’articolo 479 del codice penale, non avendo «formato» nessun verbale, «in quanto questo, per legge è redatto dal segretario della commissione». Non ha «attestato» falsamente l’esistenza del numero legale, «tant’è che il verbale riporta testualmente: “Alle ore 12,15, in seconda adunanza, il presidente consigliere Donatella Sindoni, verificata l’esistenza del numero legale, comprovato dalle firme apposte dai signori consiglieri nel foglio firma allegato, dichiara aperta la seduta e… la rinvia al giorno 4 febbraio p.v.”».
Tutto ciò, secondo l’esperto, «per evitare la necessità di un ulteriore avviso di convocazione per coloro che, dalla sottoscrizione del foglio di presenza, risultavano presenti. Nessun atto è stato adottato, nessun reato di falso ideologico è stato, dalla stessa, commesso, perché dichiara di attestare l’esistenza del numero legale, verificando il foglio firma, che deve tenere il segretario della commissione». Legge e regolamento alla mano, Vernaci sostiene che «è il segretario che deve annotare ogni cosa nel verbale (eventuali entrate ed uscite dei consiglieri)».
Quanto alla corresponsione del gettone di presenza, il professionista riferisce che la legge affida al regolamento del consiglio comunale la determinazione dei termini e delle modalità per considerare «effettiva» la partecipazione alle sedute, ai fini del diritto ai gettoni ed ai permessi retribuiti e delle relative certificazioni. «Ma tale norma – rileva – è stata recepita dal legislatore regionale con la legge regionale 26 giugno 2015, numero 11». Ovvero dopo le indagini della Digos, avvenute tra novembre 2014 e gennaio 2015. «Per la corresponsione – spiega – si richiede una formale convocazione ed è necessario che il consigliere si sia recato nel luogo di riunione. Non si richiede che la riunione consiliare si sia svolta. Infatti l’espressione “partecipazione” si riferisce al consigliere e non alla riunione del consiglio comunale. Anche nel caso di seduta deserta sussiste il diritto del consigliere comunale a percepire il gettone di presenza», conclude, citando una pronunzia del ministero dell’Interno del 21 maggio 2003.
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