Mensa Fincantieri, i fasti e il declino di un ex gioiello «Un cadavere che marcisce nell’indifferenza di tutti»

«Ci spettava solo un piatto di pasta, niente di più, se non si considerano gli animaletti che puntualmente galleggiavano nel piatto». Mentre lo racconta Mario, l’ex operaio Fincantieri che oggi si gode la pensione, appare ancora turbato. «Alle 12 in punto tutti i giorni suonava la sirena e noi scappavamo fuori dal cantiere – ricorda – Non era voglia di non lavorare, era solo fame, voglia di evadere per quell’unica ora di pausa». Non devono fare troppa strada, a pochi metri sempre in via dei Cantieri c’è l’immenso edificio costruito negli anni ’50 e divenuto mensa della Fincantieri. Si estende su tre piani più uno sotterraneo ed è munito di ogni tipo di comfort: non ci sono infatti solo la grande sala da pranzo e la cucina dove preparare le pietanze, ma anche bagni con servizi per tutte le necessità, saloni dove allestire mostre di pittura o leggere poesie, una libreria e persino un teatro. «C’era un mondo là dentro di cui in molti oggi ignorano l’esistenza». Una sorta di centro culturale di aggregazione. «Eravamo la bassa manovalanza, è vero – dice Mario – Ma ogni giorno divoravamo le notizie dei giornali, leggevamo molto, in realtà ci interessava tutto».

Un edificio dalla concezione moderna, vissuto e apprezzato, un luogo importante del quartiere. «Ma – continua l’ex operaio – come accade piuttosto spesso nelle questioni palermitane, all’inizio la gestione fu affidata a soggetti poco raccomandabili che pensavano solo a come abbattere i costi». Uno dei tanti modi che i gestori sperimentano è proprio quello di servire un solo pasto, diversamente da quanto accade nella mensa di Genova per esempio, dove gli operai possono godere di un pranzo completo dal primo alla frutta. Piccole ingiustizie che in qualche modo animano gli operai, spingendoli a timide proteste. «Il malumore c’era, ce n’era parecchio – racconta – Ci fu un mio collega in particolare che si mise a tu per tu con uno dei capi là dentro, che per tutta risposta aprì la giacca e mostrò una pistola. Insomma, fu molto chiaro, non era gente con cui potevamo confrontarci sulla cattiva qualità del cibo». Malgrado la palese intimidazione, però, gli operai continuano ad alzare la voce, fino a mettere in ginocchio i gestori dell’ex mensa, che alla fine decidono di mollare tutto. «Ci fu una sorta di sollevazione di operai e impiegati, che riuscì a buttarli fuori».

Altro giro, altra corsa: cambia la gestione, ma la mentalità su cui si regge l’intero edificio rimane la stessa, quella del risparmio. Passano così circa trent’anni, fra continui alti e bassi: «Diciamo che noi operai palermitani non ce la siamo passata mai troppo bene». Fino a quando negli anni ’80 non viene costruita una nuova mensa, ma questa volta all’interno del cantiere stesso: «Volevano evitare che noi uscissimo da quel perimetro, scongiurando in questo modo possibili ritardi». Il precedente edificio, venendone meno essenzialità e funzione, è stato a poco a poco abbandonato, trasformandosi in «un cadavere lasciato a marcire in via dei Cantieri». Qualcosa sembrava poter cambiare quando è stato venduto alla Fintecna, l’azienda che anni fa se n’è fatta carico nell’ottica di trasformarlo e rivenderlo a sua volta. «Non se n’è mai fatto niente – si fa nostalgico Mario – Anzi, a molti altri edifici, dentro o intorno al cantiere navale, è toccata la stessa sorte. Siamo circondati da scheletri e fantasmi, ma nessuno sembra vederli».

Proprio dentro i luoghi della Fincantieri, infatti, c’è l’ex Manifattura Tabacchi, che «anticamente profumava con quell’aroma particolare tutto il quartiere» e che adesso sta cadendo a pezzi. Nei pressi c’è anche la Casermetta della Real Marina, un edificio su tre livelli del 1939 utilizzato per il personale della marina militare che doveva andare a bordo dell’incrociatore leggero Ulpio Traiano, poi affondato nel ’43. Per non parlare del Cimitero degli Inglesi poco più avanti, all’Acquasanta. «È un po’ tutta una zona da riqualificare e sulla quale non c’è mai stato, non si sa perché, un interesse particolare – dice ancora – È tutto di proprietà del cantiere, è una situazione un po’ nebulosa. Mantenere edifici del genere ha di certo un costo, e non sembra che siamo ancora usciti dalla mentalità di quarant’anni fa, quando si guardava solo al risparmio. Comune e Regione, così come la Soprintendenza, hanno sempre detto di non avere soldi, e Fincantieri continua a essere un’azienda che guarda al centesimo. È una storia così triste».

Malgrado il Codice del 2004 sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio imponga ai proprietari una costante manutenzione e la conservazione della memoria di un luogo, in oltre 35 anni nessuno ha mai controllato nulla. E persino i cittadini ormai sembrano quasi abituati a queste immense carcasse senza vita. «La gente ci passa accanto ogni giorno, da sempre, e non se ne accorge nemmeno, quindi di cosa stiamo parlando? Questi luoghi e queste storie ormai non interessano a nessuno».

Nel 2010 la stessa Fintecna, però, aveva dato qualche speranza, stilando progetti di rifacimento del valore di oltre 50 milioni di euro: i sei edifici industriali dell’ex Manifattura Tabacchi sarebbero stati ristrutturati e trasformati in un centro commerciale, con sale congressi, ristoranti, sale espositive e uffici. Al posto del Magazzino generale Fincantieri sarebbe sorto un albergo con vista mare, mentre il campo di calcio di via Calcedonio sarebbe stato spostato per far spazio a un parcheggio multipiano. L’ex mensa sarebbe diventata un mercato coperto, mentre la Casermetta sarebbe stata recuperata e destinata a residenze e appartamenti. Tutti progetti naufragati che, se da un lato avrebbero potuto ridare vita a edifici tanto importanti, dall’altro avrebbe di certo finito per cambiare radicalmente volto e memoria di un’intera borgata. 

Silvia Buffa

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