«Uno le situazioni le deve sfruttare tutte». E Giuseppe Montagno Bozzone non avrebbe voluto lasciarsi sfuggire nemmeno una fetta. In questo caso, quelle dei salumi di un piccolo negozio di generi alimentari di Melilli (nel Siracusano). Prosciutti e salami da avere gratis per portarli al figlio Antonino, detenuto nella casa circondariale di Caltagirone, in provincia di Catania. Così, dopo un iniziale rifiuto da parte del titolare del minimarket, l’esponente del clan Nardo sarebbe passato ai metodi estortivi. Anche di questo, infatti, è accusato Montagno Bozzone che è tra gli arrestati di oggi dell’operazione Asmundo che ha portato ai domiciliari anche l’ex assessore regionale ed ex sindaco melillese Pippo Sorbello per scambio di voto politico-mafioso.
«Tu ma diri chi stai facennu (Tu mi devi dire che cosa stai facendo, ndr)». Una minacciosa richiesta di spiegazioni sarebbe stato il primo approccio di Montagno Bozzone con il titolare che non si sarebbe fatto trovare all’interno dell’attività commerciale per consegnare gratis la spesa alla moglie. «Pippo, basta che tu mi fai un segnale e lo scasso tutto». Un solo cenno sarebbe bastato per passare dalle parole ai fatti ad Antonino Puglia (anche lui tra gli arrestati) che lo accompagna davanti al minimarket della vittima. Un commerciante che, negli anni precedenti, aveva sempre denunciato i numerosi atti intimidatori subiti – dagli incendi ai danneggiamenti di vario tipo fino alle esplosioni di colpi d’arma da fuoco – ma che, questa volta, decide di chiedere l’intercessione a esponenti mafiosi catanesi del clan Santapaola-Ercolano. Anche perché, intanto, dai salumi e qualche busta di spesa, Montagno Bozzone sarebbe passato l’idea di fargli chiedere 10mila euro da consegnare subito da Vincenzo Formica (pure lui tra gli arrestati con l’accusa di essere uno degli organizzatori e referenti del clan Nardo a Melilli).
«Si ni iu a Catania a ricurriri (se n’è andato a Catania a chiedere aiuto, ndr) e ju a fici u nomu mio (e gli ha fatto il mio nome, ndr) a parti i N, i Nitto». La vittima si sarebbe rivolta dunque alla famiglia mafiosa riconducibile allo storico boss Benedetto Santapaola. Uno sgarbo che Montagno Bozzone non può accettare. «Ci fici veniri i vermi, ca sa va misu macari a chiangiri (gli ho fatto venire i vermi che si era pure messo a piangere, ndr)». Per questo, insieme ad altri due indagati – Salvatore Razzisi e Antonino Puglia – organizza una sorta di spedizione punitiva fuori dal minimarket. «Ora voglio conto e soddisfazione, ma sempre pirchì ti portu rispetto – dice Montagno Bozzone a uno dei due – tu pigghi e cià rumpiri tutti i corna (tu prendi e gli rompi tutte le corna, ovvero lo aggredisci, ndr)». Una lezione per il commerciante che prova a opporre resistenza alle richieste di estorsione.
«Ma nun pinsari, ci dissi (ma non pensare, gli ho detto, ndr) – chiarisce Montagno Bozzone riportando alla moglie il dialogo avuto con la vittima – picchì ti pari hai ‘ssi sbirri ciù assai di tia (perché hai a quelli che sono più sbirri di te, con riferimento ai mafiosi etnei, ndr) alle volte ti stai impressionando, ma vedi che ti stai sbagliando. L’autra vota tagghiu lassatu iri, da ora in poi t’abbissu io (L’altra volta ti ho lasciato perdere, ma da ora in poi ti sistemo io, ndr)». Stando a quanto riferito da Montagno Bozzone alla consorte, a quel punto, la vittima avrebbe ceduto: «Falla venire e si prende tutto quello che vuole». In realtà, il vero metodo utilizzato per convincere il commerciante, l’uomo lo spiega qualche giorno dopo al figlio. «Cià ‘mpicchiai na timpulata (gli ho dato uno schiaffo, ndr). Che quando fu per i salumi da portare a te non me li ha voluti dare». Arriva il ceffone e arrivano anche i salumi. Nonostante il titolare del minimarket avesse provato a sottrarsi alle richieste estorsive, anche rivolgendosi a chi starebbe un gradino più in alto nella scala dell’organizzazione criminale, poi «si è messo a disposizione. Uno le situazioni le deve sfruttare tutte». Come a dire, del maiale non si butta via niente, nemmeno una fetta di un salume.
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