Volge al termine il conto alla rovescia per il Sesto meeting regionale – dal 17 al 18 giugno – a cura della Federazione siciliana delle associazioni Donatori di sangue, in collaborazione con la Advs Fidas Catania. Nella prima giornata, organizzata all’interno dell’hotel Le Dune, sono attese circa cento presenze con persone provenienti da oltre i confini dell’Isola. Focus dell’incontro è l’andamento delle donazioni a livello regionale e l’individuazione delle possibili soluzioni alle criticità che emergono dal sistema. L’obiettivo primario della federazione consiste nella sensibilizzazione delle nuove generazioni, rivelatesi poco o per niente inclini al gesto della donazione. Scopo dell’evento, infatti, sarà anche quello di andare a sondare le problematiche che si celano dietro questa chiusura da parte dei giovani. Lo scopo principale della Fidas è quello di «arrivare all’autosufficienza al sangue che purtroppo ancora nella regione non è stata raggiunta», come fa notare il presidente regionale della federazione Salvatore Caruso.
All’interno del programma di incontri spicca quello con Francesco Pira, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’università di Messina, volto all’approfondimento delle motivazioni e delle problematiche di natura comunicativa correlate alla carenza di giovani volontari. Il dato allarmante viene evidenziato a MeridioNews dallo stesso Caruso: «Già da qualche anno notiamo un calo dei donatori soprattutto nelle fasce giovanili (dai 18 ai 35 anni). Dato che si registra in tutto il mondo del volontariato e del terzo settore. La conferma arriva dall’Istat attraverso un censimento risalente al 31 dicembre 2021 che evidenzia un calo del 15,7 per cento di volontari dal 2015 al 2021. Quindi negli ultimi sei anni c’è stata una riduzione derivante soprattutto dalla classe giovanile».
Cosa s’intende con l’espressione crisi del volontariato o dei volontari usata nel programma?
«In maniera anche provocatoria ci vogliamo chiedere se sono i giovani il problema o è il volontariato che pecca su qualche fronte. Dunque: sono i giovani indifferenti rispetto all’impegno sociale o è il volontariato stesso a non essere più appetibile verso di essi? Da un lato emerge palesemente la necessità di invertire il trend negativo delle nuove generazioni. Ma dall’altro lato, a dare soddisfazioni e a fungere da esempio, ci pensano le persone appartenenti ai target di età che vanno dai 45 anni in su».
È ormai risaputo che in estate diminuisce l’afflusso dei donatori. Come vi state organizzando e quali sono le previsioni per il 2023?
«Purtroppo non ci sono particolari strategie che sono state messe in campo. Il calo delle donazioni in estate è fisiologico ed è legato alla disattenzione dei donatori presi dal clima vacanziero. La Sicilia, essendo in forte precarietà, ha fatto ricorso all’aiuto delle province più virtuose nei periodi di scarsità. Importazioni che arrivano da Siracusa, Enna, Caltanissetta e Ragusa, ma anche da oltre i confini regionali come nel caso dell’Emilia-Romagna. Sicuramente anche il Covid ha contribuito a questa riduzione del flusso di donatori e recuperare queste perdite è sempre difficoltoso».
Si fatica a raggiungere le unità di sangue necessarie.
«Solo a Catania, a proposito di dati che fanno preoccupare, in quelli previsionali del 2023 c’è una necessità di fabbisogno durante l’intero anno pari alle oltre 10mila unità di sangue. Mentre sul fronte regionale abbiamo bisogno di oltre 202mila unità e si prevede di raggiungerne 200mila circa, dunque con un gap di almeno 2mila unità. Sicuramente ci sono province più di altre che hanno bisogno di donazioni, nel Catanese sono moltissimi per esempio i soggetti talassemici che hanno bisogno continuamente di trasfusioni. Solo l’ospedale Garibaldi assiste oltre duecento pazienti affetti da talassemia. Questi ultimi hanno bisogno di una o due trasfusioni di sangue ogni quindici/venti giorni, quindi in un anno si va dalle ventiquattro alle trenta trasfusioni. Solo attraverso questo calcolo ci si rende conto dell’importanza delle donazioni. In maniera ufficiosa è stato comunicato che nemmeno l’Emilia Romagna quest’anno potrà contribuire alle donazioni a causa del disastro provocato dalle inondazioni. La preoccupazione è rivolta soprattutto alle strutture ospedaliere, in quanto si prevede come avvenuto la scorsa estate negli ospedali messinesi, di essere costretti a interrompere o rinviare gli interventi non urgenti proprio per la carenza di sangue e a non poter aiutare i pazienti talassemici».
Sul fronte della carenza di donatori c’è anche una questione culturale: il divario tra nord e sud Italia.
«Lo avvertiamo chiaramente quando facciamo le campagne all’interno delle scuole come il disinteresse sia marcato da parte dei giovani verso le donazioni. Noi abbiamo esperienze che provengono dal nord Italia in cui la cultura della donazione è molto diffusa. Il primo gesto che i giovani compiono nel giorno del loro diciottesimo è quello di andare a donare. Mentre in Sicilia, quando ci confrontiamo con i giovani viene fuori ancora il pregiudizio legato alle eventuali infezioni o alla paura dell’ago. Preoccupazioni scongiurate dal fatto che ormai la donazione è un atto sanitario sicuro che non provoca alcuna reazione».
Come si svolge il processo di donazione?
«In Sicilia già da qualche anno esiste la cosiddetta pre donazione: analisi preventiva con una visita e un prelievo per verificare i valori idonei alle donazioni di sangue. Per farlo basta recarsi nelle unità di raccolta o associative o nelle strutture ospedaliere più vicine a noi. Il tutto tramite prenotazione per evitare perdite di tempo come, invece, accadeva in passato. Le donazioni di sangue intero possono essere effettuate ogni tre mesi dagli uomini e due volte all’anno per quanto riguarda le donne. Vi sono anche donazioni specifiche come nel caso del plasma: componente del sangue fondamentale per la produzione dei farmaci emoderivati (immunoglobine e anticoagulanti). In Sicilia a tal proposito avremmo bisogno di 77mila unità annuali e l’anno scorso ne abbiamo raccolte appena 66mila».
di Chiara Gangemi
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