«Mi ha detto: quant’è il debito?». Il debito. Era così che uno degli imprenditori coinvolti nell’inchiesta della procura di Palermo sulle tangenti al Provveditorato alle opere pubbliche Sicilia-Calabria definiva la somma che andava girata ai funzionari, per far sì che le pratiche per il pagamento dei lavori non si arenassero tra le fitte maglie della burocrazia. Al centro dell’indagine ci sono cinque professionisti – quattro dei quali finiti ai domiciliari – che avrebbero fatto parte di un’associazione a delinquere dedita alla corruzione. Su tutti spicca il 53enne Carlo Amato.
In un caso, l’ingegnere palermitano si sarebbe mosso per recuperare una mazzetta, nonostante due giorni prima avesse ricevuto la notifica della proroga delle indagini a suo carico. È la mattina del 4 dicembre 2017, Amato contatta l’agrigentino Giuseppe Tunno – uno degli otto imprenditori indagati e destinatari del divieto di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione – per proporgli un pranzo fuori porta a Nicosia (in provincia di Enna). Il luogo non è casuale: qui, nella frazione di Villadoro, la Ti.Gi. Costruzioni di Tunno si era aggiudicata la procedura negoziata senza bando di gara – ovvero una procedura in cui la stazione appaltante, in questo caso il Provveditorato per le opere pubbliche, invita una serie di imprese a presentare le offerte – per i lavori di consolidamento in una scuola. Seduti al tavolo di un ristorante, Tunno avrebbe passato ad Amato una busta con dei soldi. «Picciuli», si sente nell’intercettazione. E subito dopo segue un rumore che gli inquirenti definiscono di «sfregamento». Come di qualcuno che conta soldi.
In precedenza, nella stessa scuola aveva lavorato un’altra ditta, la Chiofalo Costruzioni srl di Lorenzo Chiofalo. Anche in quella circostanza, l’imprenditore avrebbe oliato il rapporto con il funzionario tramite una mazzetta, la cui quantificazione sarebbe stata dibattuta nella piazza di Barrafranca, non prima che Amato avesse preso l’accortezza, per timore di essere intercettato, di lasciare il cellulare ad Antonio Casella – anche lui arrestato – che, in quei minuti, sarebbe rimasto all’interno di una chiesa. «Penso che con ottomila euro putemu (possiamo, ndr). Però faccia lei le sue valutazioni», propone Amato, non sapendo che gli investigatori hanno messo sotto controllo anche il telefono di Chiofalo. All’imprenditore, che sarebbe stato coinvolto in episodi di corruzione anche per i lavori nella scuola di Sant’Alfio (in provincia di Catania), la somma sembra esagerata e, così, prova a giocare al ribasso. «Onestamente avevo pensato di chiudere tutto a cinque (cinquemila, ndr)», dice. Per poi premurarsi ad aggiungere: «A prescindere del ragionamento mille più o mille meno, a me mi interessa entrare nel suo cuore».
A finire nell’inchiesta, che tocca anche l’aggiudicazione di lavori in alloggi destinati alle forze dell’ordine nonché la ristrutturazione dei locali che ospitano il comando della guardia di finanza di Siracusa, sono anche i rapporti con gli imprenditori Giuseppe e Filippo Messina, titolari della ditta Fgm e il primo indicato dagli inquirenti come pregiudicato per associazione mafiosa. I due, padre e figlio, non solo avrebbero acconsentito al pagamento della tangente, ma avrebbero avanzato anche l’ipotesi di farsi carico della somma che avrebbe dovuto pagare un terzo imprenditore, scelto da Amato per la fornitura degli infissi. «Un putiemu fari navutri u trattamento ca v’a’ fari riddu a vuavutri? (Non possiamo occuparci noi del trattamento che spetta a lui?, ndr)».
Pilastro portante del sistema corruttivo che avrebbe agevolato entrambe le parti sarebbe stato l’utilizzo strumentale delle perizie di variante. Le modifiche in corso d’opera al progetto andato in gara sono concesse dalla normativa solo per casi specifici; stando però a quanto ricostruito dai magistrati, Amato e soci – alcuni dei quali hanno criticato la sfrontatezza dell’ingegnere, preferendo un approccio più prudente nelle richieste alle imprese – le avrebbero utilizzate per aumentare le somme a disposizione delle imprese, da cui stornare le tangenti.
Anche se ciò non era automaticamente garanzia di una buona riuscita dell’avvicinamento agli imprenditori verso i quali Amato non manca di lanciare strali, specialmente quelli propensi alla denuncia facile: «Ormai siamo combinati che viene gente e appena hai mezzo discorso subito… procura! Subito! Però pretendono di rubare. A me
quello che mi fa incazzare è questo», commenta l’ingegnere. Lo stesso, poco dopo, si spiega meglio: «Tu vuoi fottere ed io devo guardare a te? Secondo loro è così la discussione». Nei confronti di Amato – ma l’ingegnere non sarebbe stato l’unico – c’è anche l’accusa di avere lucrato sui rimborsi per le missioni di lavoro: viaggi in auto altrui fatti risultare come spese proprie e fatture per pranzi in realtà offerti dagli imprenditori.
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