Protagonista del Maxiprocesso come legale della famiglia Dalla Chiesa, testimone del procedimento-evento di cui oggi ricorre il trentennale, l’avvocato Alfredo Galasso delinea con MeridioNews una sorta di bilancio della lotta a Cosa nostra. «Quello fu l’inizio di un’evoluzione che si è sviluppata senza sosta – spiega -. L’autorità giudiziaria ha avuto uno sviluppo impensabile. C’è stato poi un accrescimento della coscienza collettiva: prima si pensava che la mafia non esistesse». E ancora l’azione dello Stato, «che è intervenuto a volte in maniera sussultoria – continua il legale -, basti pensare a quanto fatto sull’onda delle emozioni dell’opinione pubblica all’indomani delle stragi del ’92 e ’93 o per esempio l’introduzione del reato di associazione mafiosa nel codice penale dopo l’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa».
Ma tra le scoperte più forti di quel Maxiprocesso ci sono le contiguità tra mafia, imprenditoria e politica, uno scenario molto simile a quello riscontrato in altri processi: da Mafia Capitale a quello per la strage di Bologna dove si parla di «complicità». «Un’ombra che non è venuta meno – continua l’avvocato -, perché anche la forza intimidatoria e aggressiva delle organizzazioni mafiose si basa su questo elemento. La complicità diventa garanzia di impunità». Scenari, quelli che vengono dalle indagini e dai processi odierni, che richiedono più forza, oggi come ieri.
Impensabili gli sgretolamenti interni di quell’antimafia creata con il sacrificio di molti in quegli anni. «La delegittimazione giova a quel sistema di potere – continua Galasso -. Nel momento in cui da pezzi dello Stato che si sono mossi nei confronti della criminalità organizzata vengono momenti di discredito, veri o presunti valuterà la magistratura, non c’è dubbio che si ha un’azione di delegittimazione complessiva che fa comodo ai potentati economici e criminali che continuano ad agire, come fanno in questo tempo, nel silenzio della armi. Per questo occorre fare attenzione e distinguere ciò che è accaduto di positivo da quel che purtroppo si è sviluppato successivamente di negativo. Attenzione a essere molto accorti».
Galasso va poi indietro con la memoria, a un ricordo personale: «Ero in rapporti di amicizia stretta con Rocco Chinnici, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone – racconta -. Avevo un rapporto confidenziale con loro ma, tuttavia, solo dopo l’emissione dell’ordinanza ho saputo di cosa aveva parlato Tommaso Buscetta. Segno di una serietà professionale del tutto impensabile oggi, con tutte le soffiate che vediamo sui giornali». Parole forti anche sui magistrati impegnati nel processo sulla Trattativa Stato-mafia e sulle minacce indirizzate al pm Nino Di Matteo. «Occorre che ci sia una solidarietà attiva oltre che una protezione di tipo istituzionale – conclude Alfredo Galasso -. Credo invece che ci sia una certa disattenzione, anzi, dirò di più, c’è una specie di fastidio diffuso, effetto non secondario della delegittimazione dell’antimafia».
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