Massoneria, i dettagli inquietanti in Antimafia Ex gran maestro: «Rapporti con Cosa Nostra»

Mafie e massoneria. Ne ha parlato ieri davanti alla Commissione parlamentare nazionale antimafia, Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, entrato a 22 anni nella massoneria, dimessosi dal Goi nell’aprile 1993, ad appena tre anni dal suo insediamento, e che ha recentemente fondato un nuovo ordine, Dignity. Ieri ha rivelato particolari inquietanti – seppure non del tutto inediti – della sua esperienza alla guida della loggia più grande del Paese, soffermandosi sui rapporti con Cosa Nostra e con la ‘ndrangheta

«Ricordo una riunione a Palermo – ha raccontanto – credevo di trovarmi di fronte a tutti i fratelli e mi sentii dire dal numero uno della massoneria siciliana di non accettare l’invito del presidente del collegio regionale perché aveva a che fare con la mafia. Era un avvocato e avevo parlato con questa persona che mi era sembrata degna di ogni fiducia e rispetto». Di Bernardo è stato sentito dalla commissione Antimafia nell’ambito di una serie di audizioni finalizzate ad approfondire proprio i legami tra massoneria e criminalità organizzata. 

Dopo l’esperienza palermitana, Di Bernardo comincia a maturare l’idea di abbandonare il Goi. «Mi dissi: c’è qualcosa che stride con i principi e la visione che mi sono sempre fatto della massoneria. Aprii un Osservatorio sulla Sicilia – ha aggiunto davanti ai deputati – e proprio in quei mesi del 1990 il sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, fu arrestato in quanto membro della mafia. Feci in modo che immediatamente fosse sospeso dal Goi. La verità è che le cose che avvengono nelle realtà locali si vengono a sapere solo per caso anche se ci sono gli ispettori che dovrebbero controllare. Ma lo fanno?». Il sindaco di Castelvetrano fu sospeso e mandato davanti a giustizia massonica. Ma secondo quanto ha riferito Di Bernardo, che qualcuno sia condannato dalla giustizia massonica «è un evento eccezionale». 

L’ex gran maestro ha parlato anche dei rapporti tra massoneria e ‘ndrangheta, la cui scoperta sarebbe alla base della sua decisione di lasciare il Grande oriente d’Italia. «Diverse sono le ragioni che portarono alle mie dimissioni da Gran Maestro del Goi, ma quella che fu determinante fu connessa con l’inchiesta del procuratore di Palmi Agostino Cordova. Vedo oggi ripresentarsi le stesse condizioni del 1992, quasi fosse una fotocopia». Di Bernardo ha raccontato che la prima volta che incontrò il procuratore Cordova – aveva già consegnato gli elenchi degli iscritti calabresi al Goi – gli chiese perché volesse anche gli elenchi di tutti i massoni iscritti al Goi. «Mi rispose: dalle nostre verifiche è emerso che i massoni della Calabria hanno connessioni con i massoni del nord Italia e formulò l’ipotesi che la ‘ndrangheta stesse occupando le regioni del Nord servendosi anche della massoneria. Quella che era un’intuizione di Cordova a distanza di 20 anni è realtà». 

Quindi Di Bernardo conferma alla commissione quanto già dichiarato ai magistrati di Reggio Calabria nel 2014, quando fu sentito nell’inchiesta Mamma Santissima. «Ho deciso di dimettermi dal Goi perchè avevo constatato una realtà che mai avrei immaginato e che da quel momento mi sarei rifiutato di governare. Ho saputo dall’allora numero uno in Calabria che su 32 logge, 28 erano in mano alla ‘ndrangheta. Dopo sono stato crocifisso – ha affermato – i miei ritratti bruciati, ho ricevuto minacce inimmaginabili. L’allora ministro dell’Interno Mancino allertò il prefetto per farmi proteggere. Non ho potuto far capire ai miei confratelli le mie ragioni: ho lasciato una lettera che non è stata divulgata». 

Oggi l’ufficio di presidenza della Commissione parlamentare antimafia deciderà come procedere in merito all’inchiesta. È possibile che venga richiesto l’intervento della Finanza per sequestrare gli elenchi degli iscritti in Sicilia e in Calabria a quelle obbedienze – come il Goi – che non li hanno forniti.

Redazione

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