Non vorrei apparire insistente per partito preso ma ê, purtroppo, quanto accade che mi porta a tornare a parlare degli svarioni del nostro presidente della Regione. Mi sembra, e non credo di essere l’unico a pensarlo visto che mi fanno compagnia molti commentatori più accorti di me, che Raffaele Lombardo abbia maturato il convincimento che la Regione sia una sua proprietà personale e che, come ogni padrone, alla vecchia maniera, ne possa disporre a piacimento senza tenere in benché minimo conto di regole o di fini.
Per rendersi conto di tale situazione, senza affaticarsi più di tanto, basta osservare come si è comportato in questi anni in tema di formule di governo o di composizione di giunta. Con assoluta disinvoltura è infatti passato da destra a sinistra e poi ancora al centro, approfittando di certe debolezze, e per debolezze intendiamo fascinazioni di potere, dei partner con i quali si è accoppiato per mantenersi in piedi.
L’ultima prepotenza, in ordine di tempo, è quella di avere indicato, nel corso di un’assise pubblica, in un assessore non eletto, nel caso in specie il magistrato Massimo Russo, colui che nel caso di sue dimissioni sarebbe destinato a guidare il governo regionale fino alla data fatidica, ma ancora incerta, delle consultazioni elettorali per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana.
Anche se siamo abituati a simili comportamenti al limite della legalità, si tratta, in questo caso, di una vera enormità, non solo sul piano politico ma, lo diciamo ai tanti giuristi che tacciono, anche sul piano giuridico. Sappiamo che, già il fatto di essere stato eletto con una compagine, in questo caso di centrodestra, per poi successivamente affidarsi, con una giravolta da funambolo professionista, ad una formula di centrosinistra, a parte il giudizio politico e, perché no !, morale che ne implicava, quello del tradimento del voto che l’aveva portato a palazzo d’Orleans, lasciava spazio ad una ampia riflessione, sotto il profilo giuridico sulla stessa legittimità del comportamento.
La legge elettorale prevede infatti un collegamento diretto fra candidato presidente e liste. Se qualche perplessità può tuttavia ingenerare la legge elettorale in merito alle coalizioni con cui il presidente deve governare, nel caso della designazione di un assessore “non eletto” non vi possono essere dubbi: si tratta di un’ipotesi contra legem che integra, sul piano giuridico, una violazione di tale gravità da sovvertire i principi di rappresentanza stabiliti dal nostro Statuto regionale e, sul piano dei comportamenti, sarebbe come tornare indietro di qualche secolo, quando il sovrano deteneva il dominio di un territorio a titolo personale e quindi ne poteva disporre a suo piacimento.
Spero che su una tale ipotesi il presidente torni indietro, lo spero soprattutto per la salute di quell’architettura autonomista che certi suoi comportamenti hanno messo in forse.
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