Marsala, attentati incendiari contro coop e negoziante Il coordinatore di Libera: «Serve un’antimafia sociale»

È di nuovo escalation di attentati incendiari a Marsala. Da un paio di mesi, infatti, si registra un preoccupante, sempre più frequente, ricorso agli attentati incendiari. Gli investigatori sono al lavoro per decifrarne la natura e individuarne gli autori. Racket delle estorsioni o altro? È questo il primo nodo da sciogliere. 

L’episodio più grave e inquietante è quello dello scorso 26 aprile, quando un rogo di enormi proporzioni devastò, a Birgi, i locali e alcuni mezzi della Abc – Cooperative Ortofrutticole Riunite. Danni per almeno un milione di euro. E le conseguenze potevano essere ben più drammatiche. Non solo perché le fiamme avrebbero potuto raggiungere un vicino deposito di bombole di gas gpl, ma soprattutto perché al primo piano della struttura della cooperativa presieduta dal 61enne marsalese G.V. dormivano tre persone. Tre romeni, un uomo e due donne (una è la moglie dell’uomo), dipendenti regolarmente assunti dalla coop. I tre lavoravano da qualche tempo per l’Abc e, disponendo la coop di locali al primo piano, uffici e un appartamento, aveva concesso quest’ultimo in uso ai tre romeni. Fortuna ha voluto che i tre dipendenti si siano accorti in tempo dell’incendio divampato, intorno alle 2 di notte, nel cortile antistante e prima che il capannone fosse aggredito dalle fiamme sono riusciti a fuggire, mettendosi in salvo. 

Adesso, invece, si apprende che è di natura dolosa anche l’incendio che ha semidistrutto la villa al mare, in zona Sibiliana (villaggio Olimpia), di un noto commerciante marsalese di origine salemitana, Armando Giammarinaro, titolare di uno dei più noti negozi di abbigliamento maschile della città: Karisma di via Roma. Le fiamme, appiccate alla veranda in legno, hanno poi aggredito altre parti dell’immobile, provocando danni per diverse decine di migliaia di euro. Il fatto è stato denunciato dal proprietario ai carabinieri. L’incendio è stato appiccato nel giorno del compleanno del proprietario. Un caso o la volontà di fare un regalo particolare? 

Infine, la notte di fuoco tra il 27 e 28 maggio scorsi, quando tra Marsala e Petrosino, nell’arco di poche ore, ben cinque auto sono state distrutte o gravemente danneggiate dalle fiamme. Tre furono ridotte a carcasse destinate alla rottamazione, le altre due hanno subito danni non indifferenti. Tra le prime, una Nissan Micra e una Toyota Yaris in sosta in un androne-parcheggio condominiale al civico 29 di via Tommaso Pipitone. Fatti sui quali è piuttosto interessante l’opinione di Salvatore Inguì, marsalese, coordinatore provinciale di Libera. «Prima di parlare di mafia – premette Inguì – bisogna usare una certa cautela. E questo per evitare il pericolo che passi il concetto ché se tutto è mafia, allora nulla è mafia. Ma questo, naturalmente, non significa escludere il fenomeno. Il nostro territorio, infatti, negli ultimi tempi, ha dimostrato che in realtà c’è una mafia viva. C’è una mafia che è fatta di gente che lavora sul territorio, che chiede consensi, che ha la possibilità di favorire, fornendo coperture e alloggi, le latitanze. Negli ultimi anni, abbiamo poi avuto due omicidi di soggetti legati alla criminalità e l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi». 

Secondo il coordinatore provinciale di Libera, «una presenza mafiosa è fuor di dubbio. Solo che – analizza – è una mafia che negli anni è riuscita a mantenersi contenuta negli episodi di sangue, negli episodi eclatanti, lavorando bene sulla componente che possiamo definire culturale, con la quale riesce a fare affari senza ricorrere alla violenza estrema, come gli omicidi o altri fatti eclatanti. Quello che sta avvenendo oggi è una spia di un territorio che ha bisogno, per una parte, di un ulteriore potenziamento delle forze dell’ordine, che umanamente più di quello che stanno facendo non è possibile fare, essendo costantemente impegnati nella repressione sia della micro-criminalità che della macro-criminalità, mentre d’altra parte, mentre c’è un’antimafia giudiziaria che va potenziata perché non ce la fa, occorre un’antimafia sociale con incremento di attività culturali che aiutino le persone a comprendere meglio l’entità del fenomeno, nonché il ripristino della dignità del lavoro, per poter contrastare la mafia alle radici. Perché arrestare i mafiosi è, in qualche modo, tagliare le chiome, ma l’antimafia sociale deve affrontare il problema alle radici».

Antonio Pizzo

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