Il 26 gennaio del ’79 veniva assassinato a Palermo Mario Francese, uno degli otto giornalisti siciliani che hanno pagato con la vita il loro lavoro. Cronista giudiziario de “Il Giornale di Sicilia”, Francese è stato un acuto osservatore dei fenomeni mafiosi, della sua organizzazione e degli interessi pubblici di Cosa Nostra. Oggi, per ricordarlo, è stata organizzata a Palermo una giornata ricca di appuntamenti, dal titolo “Una vita per la cronaca – Mario Francese trent’anni dopo”.
Dopo il raccoglimento davanti alla lapide di viale Campania, dove è avvenuto il delitto, e una messa commemorativa, si è svolto un incontro sui temi etici del giornalismo e i nuovi media.
Ne hanno parlato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, Franco Nicastro, presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti Sicilia e Pino Grasso, direttore della pastorale per le comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Palermo.“Bisogna stare attenti soprattutto a non compiere peccati di omissione” ha affermato don Sciortino, condensando così la prima regola di un giornalista.
In serata sono previsti al Teatro Politeama tre momenti treatrali. L’attesissimo monologo “L’uccello grifone” di Davide Enia, “Sono mafioso” di Ernesto Maria Ponte, scritto con Filippo D’Arpa, autore anche dell’inedito monologo ispirato alla figura di Mario Francese, scritto con Felice Cavallaro e letto da Salvo Piparo. Coniugando teatro e giornalismo, saranno presenti anche Gian Antonio Stella del “Corriere della Sera”e Francesco La Licata di “La Stampa”.
Cosa significa il lavoro di Mario Francese trent’anni dopo? Step1 ne ha parlato con Franco Nicastro, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia.
Presidente, in cosa consiste secondo lei la particolarità della figura di Mario Francese?
E’ una figura da segnalare soprattutto alle giovani generazioni. Francese fu un grande testimone civile per il coraggio e il sacrificio della vita con cui ha pagato l’interesse verso il tema della mafia, in un momento in cui era impegnata nell’attività di riposizionamento e di ridefinizione degli equilibri interni, da cui uscirono egemoni i corleonesi. Francese per primo intuì lo scenario che si andava profilando in Sicilia, e con i suoi articoli arrivò spesso prima delle indagini dei carabinieri e della polizia. La sua è anche una grande testimonianza professionale per il metodo di lavoro. La sua assidua e personale ricerca delle fonti, senza per questo dipenderne, resta un grande esempio.
Per descriverlo è possibile utilizzare l’immagine del cronista col taccuino in mano, che prende appunti.
Qual è l’eredita che ci lascia Francese?
E’ un’eredità impegnativa in un modello giornalistico che oggi è connotato diversamente. Il cambiamento nella velocità nella diffusione delle notizie è sicuramente un’ottima cosa, ma erode spazio all’approfondimento. Spesso manca la qualità dell’informazione, anche per colpa del mancato investimento degli editori, dobbiamo dirlo.
Sembra che la figura di Mario Francese sia meno conosciuta, o forse meno ricordata, rispetto ad altri colleghi come Giuseppe Fava o Peppino Impastato. Perché?
Non sono d’accordo. C’è stato un lungo periodo di silenzio ed oblio, è vero. Una grave distrazione quella del suo giornale e dei suoi colleghi, che se ne sono occupati poco.
Ma da almeno dieci anni la figura di Francese viene costantemente ricordata. L’ordine dei giornalisti ha istituito un premio in suo nome che, non solo mette insieme importanti figure giornalistiche, ma cerca di portare all’attenzione grandi temi etici e professionali. Ci sono poi le pubblicazioni dei suoi saggi, come “Una vita per la cronaca — Mario Francese, trent’anni dopo”, utili per ricostruire la storia mafiosa, ma anche giornalistica, di quel tempo. E c’è poi l’impegno della rivista “S”, che sta ripubblicando un dossier di Francese sulla mafia. Purtroppo solo negli ultimi anni, quindi, ma c’è uno sforzo per ricordarlo costantemente. Perché è necessario, oltre che giusto.
Il giornalismo d’inchiesta in Sicilia si è nutrito di grandi nomi, come quello di Francese. Perché oggi è sempre meno praticato?
Per i cambiamenti della professione che sono intervenuti nel cercare e produrre le informazioni: oggi sono le fonti che decidono cosa passa e cosa no. Mancano i giornalisti-tecnici, si sente meno la presenza della professionalità nella selezione delle informazioni e nell’elaborazione degli articoli. Sottoscrivo in pieno la dichiarazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi: i nuovi media sono importanti, ma bisogna salvaguardare il ruolo del giornalista-testimone. Il nostro compito fondamentale è quello di tenere informata l’opinione pubblica, non bisogna dimenticarlo.
Se Mario Francese fosse vivo, oggi di cosa si occuperebbe?
A quel tempo lavorava sull’interesse della mafia per le opere pubbliche e i grandi affari. Oggi farebbe la stessa cosa, ma rivolgendosi sicuramente anche ai rapporti tra la mafia e la politica, che sono il vero cambiamento di adesso.
Foto tratta dalla mostra curata da Giovanna Fiume e Salvo Lo Nardo su “Mario Francese, una vita in cronaca. Per rompere il silenzio”.
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