In piazza Università, seduto per terra con i suoi cani mentre una gallina viene lasciata a scorrazzare di fronte ai bar del centro. Poi in via Etnea, all’altezza della chiesa dei Minoriti. In entrambe le circostanze insieme a una ragazza, che potrebbe essere la stessa finita in ospedale dopo i calci e i pugni. Marco Lalicata, il 28enne danese originario di Mineo, è tornato a Catania. Nel capoluogo etneo non lo si vedeva da diversi mesi. Da quando, cioè, era stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale, lesioni gravissime e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Quest’ultima accusa poi caduta immediatamente. Le altre, però, sono rimaste in piedi. E per quelle il procedimento giudiziario sarebbe dovuto iniziare a giugno 2017 ma, per una questione legata a un cambio di avvocato, è stata spostata a dicembre. Intanto lui, da gennaio scorso, è tornato in libertà. «Una perizia psichiatrica stabilisce che era incapace di intendere e di volere al momento del fatto, ma assolutamente non pericoloso se sottoposto a cure mediche», spiega Paolo Sapuppo, ex legale del giovane.
La storia di Marco il danese all’ombra del Vulcano comincia alla fine del 2015, quando il giovane viene visto per le prime volte aggirarsi per via Etnea: carrello, capre, cani, papere e maiali al seguito. L’attenzione mediatica su di lui è pressoché immediata, e aumenta quando il ragazzo viene fatto sgomberare dall’immobile che aveva abusivamente occupato – con asini al seguito – in via Roccaromana, vicino a una sede del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Catania. A marzo 2016, l’associazione etnea Gar gli offre ospitalità nel giardino sociale di via Pietro Verri, dove il ragazzo si stabilisce con la compagna di una vita. Conosciuta in Danimarca quando entrambi si trovavano ospiti di una struttura sanitaria. Quella soluzione, però, non dura a lungo e all’inizio di ottobre 2016 Marco Lalicata torna a vivere nel rudere di via Roccaromana dal quale era già stato sgomberato.
Ed è lì che diventa ancora più evidente che qualcosa non va. Soprattutto nei suoi rapporti con la donna che lo accompagna. Diversi testimoni, sentiti da MeridioNews in quei giorni, raccontano di avere assistito a comportamenti violenti del 28enne nei confronti di lei. Accusata, sia da Marco il danese sia dai giovani intervistati, di essere troppo assillante nei suoi confronti e di non dargli respiro. Aggressioni avvenute in strada, sotto gli occhi di tutti, ma mai denunciate. Fino a quella del 19 ottobre 2016, quando lei finisce in ospedale con una mandibola danneggiata, il setto nasale rotto e un’accusa di stupro formulata nei confronti di Lalicata. «Anche se lei se l’è cercata, è stato sbagliato picchiarla», dicevano alcuni iscritti di Giurisprudenza, ricordando i diverbi costanti tra i due. Nel corso dell’udienza di convalida del fermo, il 22 ottobre di un anno fa, Lalicata conferma le botte, ma nega la violenza sessuale. Sostiene in aula, di fronte alla giudice Flavia Panzano, di averla picchiata prima di avere un rapporto con lei, di essersi reso conto di averle fatto del male e, preso dal senso di colpa, di avere acconsentito a una richiesta della giovane di fare sesso, per consolarla.
La giudice, però, spedisce Lalicata nel carcere di piazza Lanza, dove gli viene data una cella d’isolamento. All’inizio di novembre viene accolta l’istanza formulata dall’avvocato Sapuppo di concedere a Marco il danese i domiciliari a casa dei nonni, in contrada Giummarra, a Mineo. Anche lì, però, rimane poco tempo. Perché durante un attacco di nervosismo viene denunciato anche dagli anziani parenti, che parlano di indole «violenta e tirannica». Altro giro, altra corsa. Il ragazzo viene sottoposto prima a un trattamento sanitario obbligatorio, poi portato nel carcere di Caltagirone, dove viene tenuto in cura e sottoposto alla perizia psichiatrica il cui esito si rivela fondamentale per decidere la libertà del ragazzo: la sua schizofrenia lo rendeva incapace di intendere e di volere al momento dell’aggressione alla compagna, ma è innocua quando lui è sotto terapia farmacologica. Così, a gennaio 2017, si aprono per lui le porte del carcere. E se per mesi non se n’erano avute notizie, adesso si sa che è tornato in città. Forse con lei. Secondo quanto si apprende, in questi mesi sono state decine le donne che hanno chiesto, tramite l’avvocato, di potersi mettere in contatto con Marco il danese. Per aiutarlo, offrirgli soldi o supportare la tesi della sua innocenza.
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