Arancini al sapore di Montalbano, timballo con sugo di Gattopardo, aringa su un letto di Vittorini, buffet finale di pagine dolci, e il pranzo è servito davvero. «La poesia non dà pane», recita da sempre un vecchio adagio, ma la società Dante Alighieri alimenta il sospetto che con la letteratura si possa mangiare davvero. A gennaio, infatti, il comitato catanese dell’associazione che dal 1889 promuove la lingua e la cultura italiane nel mondo, presenterà il Pranzo letterario: un corso pensato in sinergia con gli chef dell’Ostello degli Elefanti, in cui i moduli didattici coincidono con le diverse portate e gli obiettivi di apprendimento vengono – letteralmente – serviti assieme alle pietanze.
«Sotto la formula del pranzo, offriremo in realtà due percorsi», precisa Adriana Bonforte, docente di italiano della Dante di Catania e ideatrice del pacchetto: «Uno per i soci, più interessati all’approfondimento letterario, e uno per gli studenti stranieri, motivati prevalentemente dallo sviluppo delle abilità linguistiche». A livello didattico, quella di far passare fisicamente dalla cucina l’insegnamento della lingua è ormai una prassi consolidata nel resto d’Italia e all’estero: «L’idea del pranzo è in linea con le attività di altri comitati italiani della Dante, da Bologna a Palermo, ma trova riscontro anche fuori. Da francesista guardo ai cugini d’oltralpe – continua Bonforte – e posso fare gli esempi di Toulouse e Orléans, di Bordeaux e Dijon».
Il punto è che altrove si parla di occasionali serate a tema, o di percorsi incentrati sull’enogastronomia e sugli accordi con le aziende. E in generale di laboratori pratici, atelier culinari, coking class e corsi in cui la cucina si mette al servizio della lingua. L’idea della società Dante Alighieri di Catania, invece, è quella di «puntare sulla letteratura, sugli autori e sui loro testi: e a questi, in un secondo tempo, abbinare le degustazioni». Di certo, in testa ai motivi che spingono a imparare il nostro idioma, ci sono l’amore per pasta e pizza e il bisogno pratico di poter seguire eventuali ricette: un po’ più diffusi della voglia di leggere la Divina Commedia (che pure, di cibo ogni tanto parla) in lingua originale. Ma la sfida di Bonforte e colleghi è quella di «impiegare testi letterari non solo nel caso di addetti ai lavori come i soci, ma anche per insegnare la lingua», e quindi con studenti che concluderebbero tranquillamente il loro soggiorno italiano senza il bisogno di leggere Conversazione in Sicilia.
Tentativo di rendere appetibile la letteratura? Basta una zuppa di fave a far digerire I Malavoglia? Difficile, per la docente della Dante, dire se il cibo serva a rendere commestibile la materia o se sia piuttosto l’inverso. «La mia impressione è che i due settori si trainino a vicenda, e che anche la letteratura fiorita attorno a essa serva a nobilitare la tavola». D’altro canto, nel mondo contemporaneo la gastronomia va più che mai incontro al letterario, e ormai gli scaffali del settore gastronomico si espandono in qualsiasi libreria: «I risultati sono spesso scadenti – continua la francesista – ma si trovano anche esempi di qualità. Uno su tutti, Alla tavola di Yasmina: un testo in cui Serge Quadruppani, il traduttore ufficiale di Camilleri in Francia, viaggia attraverso le tradizioni culinarie siculo-arabe riprendendo lo schema delle Mille e una notte».
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