Di questi giorni, dire Ogm è come dire Tav: tutti sono contrari, ma (quasi) nessuno sa perché. Un Ogm è un organismo (di solito una pianta) il cui dna è stato modificato con l’aggiunta di uno o più geni, detti transgeni. Il tanto discusso mais transgenico della multinazionale Monsanto – chiamato Roundup Ready – contiene un gene preso in prestito da un batterio che lo rende resistente al pesticida glifosato, il più usato del mondo, venduto con il nome di Roundup dalla stessa Monsanto. Il vantaggio di questo Ogm è che è possibile rovesciare quintali di pesticidi sui terreni coltivati, uccidendo tutte le piante selvatiche, senza provocare alcun danno al mais transgenico che, di conseguenza, ha le risorse del terreno tutte per sé. I prodotti transgenici della Monsanto hanno perciò una resa molto alta, anche perché possono essere piantati ad una maggiore densità. Nel dubbio, oggi, ci si spaventa di tutto: mais transgenico e pesticidi. Ma cosa fa davvero male? Studi e polemiche, spesso, non aiutano a fare chiarezza. Come nel recente caso dell’articolo pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Food and Chemical Toxicology. Preludio a un libro da spy story e a un film altrettanto complottista.
Innanzitutto però bisogna chiarire una cosa: la tossicità del pesticida non ha nulla a che vedere con quella del mais transgenico, l’Ogm. Ci sono forti sospetti che il glifosato sia nocivo, anche se l’Unione Europea ha approvato il suo utilizzo, giudicando i rischi inferiori ai vantaggi. Che sia usato su una coltivazione transgenica o non, il glifosato ha la stessa tossicità. Tuttavia, considerato che comprare un mais resistente ai pesticidi e poi non utilizzarli sarebbe un controsenso, praticamente tutte le coltivazioni di Roundup Ready e prodotti simili sono trattate con glifofato. Ma qual è la tossicità dovuta propriamente all’Ogm? La possibilità più ovvia, cioè che la proteina prodotta dal transgene provochi reazioni allergiche, è stata esclusa. Quello che non può essere escluso altrettanto facilmente è che il gene, innocuo nel batterio da cui proviene, produca una modificazione imprevedibile nell’organismo ospite – in questo caso il mais – rendendolo tossico.
Negli ultimi anni, la tossicità da mais Roundup Ready è stata testata su animali da laboratorio con risultati abbastanza rassicuranti. Nella procedura standard, però, questi test vengono interrotti dopo tre mesi, quando i ratti – all’inizio dell’eta adultà – vengono sacrificati per essere analizzati. Secondo un articolo pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Food and Chemical Toxicology, un’alimentazione a base di Roundup Ready prolungata per tutta la vita ha invece effetti dannosi sui ratti. Il primo autore dello studio è Gilles-Eric Séralini, docente dell’università di Caen, conosciuto nell’ambiente scientifico per le sue idee naturalistico-omeopatiche e la collaborazione con aziende verdi. Nonché per i suoi studi sugli Ogm, non certo impeccabili scientificamente ma sempre di grande impatto mediatico.
Che anche quest’articolo sia rivolto più al grande pubblico che agli scienziati sembra piuttosto evidente. Il suo contenuto è stato infatti svelato in anticipo ai giornali solo dopo la sottoscrizione di un accordo di non divulgazione, precludendo di fatto ai giornalisti di inserire il parere di altri scienziati negli articoli pubblicati all’uscita dello studio. Nei prossimi giorni è inoltre in arrivo il terzo libro di Séralini, Tutti cavie?, nel quale è raccontata l’epopea dello studio appena pubblicato – denominato Operazione In vivo – portato avanti nel più classico stile spy story, senza utilizzare comunicazioni telefoniche per paura di intercettazioni e con invio di e-mail cifrate. Dal libro è già stato tratto anche un film dello stesso titolo che, a giudicare dal trailer, parlerà della “diabolica relazione tra Ogm e nucleare“. Tra conferenze stampa, articoli sui quotidiani e sventolio di foto di ratti con tumori di grandi dimensioni, si è sollevato un prevedibile clamore.
L’articolo in sé non è però particolarmente convincente. L’idea di testare gli effetti degli Ogm sul lunghissimo periodo è ottima. In alcuni casi la mortalità dei ratti trattati con mais transgenico – da solo o in combinato con il pesticida della Monsanto, Roundup – è stata più alta di quella dei ratti di controllo. I tumori – che si formano spontaneamente in questa razza di ratti – sono presenti in numero simile in tutti gli animali, compresi quelli di controllo, ma sono di dimensioni maggiori in quelli trattati con mais Ogm e Roundup. La validità di questi risultati è però messa seriamente in discussione dal fatto che sono stati usati solo 20 ratti di controllo su 200 totali. Sembra inoltre che gli effetti sugli animali siano indipendenti dalla dose utilizzata e soprattutto dalla sostanza con cui sono stati trattati. Molto strano, considerato che mais e pesticida biologicamente non hanno nulla in comune, tranne il fatto di essere utilizzati insieme. E di essere prodotti dalla Monsanto.
L’articolo, considerata la difficoltà di trarne qualche conclusione sensata, sembra una buona occasione sprecata. E’ possibile però che il polverone sollevato stimoli studi più rigorosi sulla tossicità di lunghissimo termine da Ogm. E questo sarebbe il meglio che possa capitare. Di certo questa polemica non porterà la gente ad avvicinarsi con maggiore imparzialità agli Ogm. Gli organismi geneticamente modificati sono diventati il simbolo dello sfruttamento commerciale della vita e della sua brevettabilità, e vengono automaticamente associati alle multinazionali e al capitalismo selvaggio. D’altra parte, è ovvio che finché sono delle aziende a inventare e produrre Ogm non potremo aspettarci nient’altro che qualcosa che si possa vendere. E con guadagno. Lo stesso succede con i farmaci, altrettanto in mano alle multinazionali, altrettanto brevettabili e selvaggiamente capitalistici. L’unica differenza è che la ricerca del guadagno in campo medico ha come effetto collaterale di curare dei pazienti. Quella in campo agricolo porta invece all’aumento della produttività, sulle cui ricadute positive per l’umanità non c’è accordo generale.
*L’autore dell’articolo è uno scienziato, curatore del blog di divulgazione scientifica www.biocomiche.it
[Foto di Edwin IJsman]
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