«Per fare una cortesia al rettore…». Così Maria Elena Grassi, ex candidata Udc alle elezioni regionali del 2013, ha accolto la polizia postale venuta a casa sua per notificare l’indagine a carico della sua famiglia. Un fascicolo relativo al cosiddetto Mailgate, il caso delle email elettorali inviate agli indirizzi di posta elettronica personali di studenti e docenti dell’università di Catania a settembre 2012. Il successivo processo ha coinvolto anche l’allora rettore Antonino Recca, già coordinatore regionale dell’Udc. Ad accusare l’ex Magnifico di aver pilotato l’intera vicenda – dalla candidatura di Grassi all’invio delle email, compreso il successivo insabbiamento – sono i coimputati: Antonio Di Maria, allora membro dello staff di Recca e marito della candidata, ed Enrico Commis, all’epoca dei fatti responsabile dell’area informatica di Unict e oggi direttore del Cea (centro per i sistemi di elaborazione e le applicazioni scientifiche e didattiche). Una ricostruzione che sembrerebbe confermata da una registrazione – pubblicata in esclusiva da MeridioNews (allora CTzen), in cui si sente Recca dire: «Che posso fare? Ficimu sta minchiata!». Sullo sfondo della storia, si muovono proprio Grassi e il figlio Daniele Di Maria, dal cui indirizzo sono stati inviati i messaggi elettronici elettorali. Entrambi non coinvolti nel processo che oggi – a due anni da caso – è entrato nel vivo con l’audizione di due testimoni: gli agenti della polizia postale Antonio Pennisi e Alfredo Malerba.
Tra le domande del pubblico ministero Raffaella Vinciguerra e quelle degli avvocati difensori, gli ispettori hanno ripercorso l’intera vicenda, soffermandosi sui dettagli tecnici. Alcuni ancora non troppo chiari. «Abbiamo ricevuto la segnalazione da diversi studenti di email elettorali inviate ai loro indirizzi di posta elettronica personali – spiega Pennisi – Le stesse email consegnate all’atto dell’iscrizione esclusivamente a uso didattico e utilizzate invece per inviare a circa 22mila contatti l’invito a votare la candidata Grassi». Il tutto tramite una mailing list creata appositamente dall’università, «e che formalmente non esisteva perché gli indirizzi erano riservati». È l’11 settembre quando Enrico Commis invia una email al rettore Recca con oggetto «Indirizzi e-mail cumulativi studenti e docenti». Nel testo, gli indirizzi delle due mailing list che avrebbero poi rilanciato il messaggio alle migliaia di destinatari e le istruzioni su come utilizzarli. L’indomani, lo stesso messaggio viene inoltrato da Commis ad Antonio Di Maria.
Così si arriva a sabato 15 settembre, quando Daniele Di Maria prova a mandare la mail elettorale alle due mailing list ma l’invio non riesce. Ci riprova due giorni dopo, il 17 settembre, con successo. Subito dopo, scoppia il caso. Ma è quello che succede in mezzo ad essere ancora oscuro. «La prima email torna indietro perché l’indirizzo non era autorizzato – spiega l’ispettore della polizia postale Malerba – Poi, lunedì 17 settembre, riesce». «E quindi?», chiede la corte. «E quindi nel frattempo dev’essere stato abilitato», risponde il tecnico che si basa sul messaggio di errore ricevuto da Daniele Di Maria nel momento in cui tenta il primo invio. Una ricostruzione che contrasta con quella dell’avvocato Goffredo D’Antona. «Secondo gli elementi in mio possesso, non era necessario essere autorizzati per inviare un messaggio alla mailing list ma bastava conoscerne l’indirizzo – spiega – Il problema invece, come dice l’ingegnere Luca Palazzo che ha materialmente creato l’indirizzario, era nella configurazione dei server d’ateneo su cui si appoggiava la stessa mailing list». Un problema, quindi, interno che prescinde dal mittente. Un particolare non di poco conto per capire quanto sapessero i dipendenti di Unict dell’uso che sarebbe stato fatto degli indirizzi personali di studenti e docenti.
Alla base delle opposte spiegazioni c’è una frase contenuta nel messaggio di errore: «Recipient address rejected: user unknown in local recipient table in reply to RCPT TO command». «Il campo RCPT TO indica il destinatario dell’email – spiega un tecnico informatico contattato da MeridioNews – L’errore non ci dice se il mittente era autorizzato o meno all’invio, ma spiega che il server non conosce l’indirizzo a cui si sta inviando la mail». Cioè quello delle mailing list. «O perché si è sbagliato a digitarlo (possibilità esclusa dalla stessa polizia postale, ndr) oppure perché non è stato configurato correttamente». Un giallo nel giallo che potrebbe essere sciolto alla prossima udienza, il 26 gennaio, dalla testimonianza dello stesso Luca Palazzo.
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